Siamo una squadra incarceratissimi: i ribelli vincono l’Aula
BARCELLONA Decapitati i vertici indipendentisti Otto neodeputati tra prigione ed esilio: 17 (su 135) quelli incriminati dai tribunali madrileni per vari reati
giustizia penale internazionale, sotto attacco anche in Europa da parte di sovranisti, nazionalisti e ‘realisti’ per ogni stagione. Chi le prepara il funerale coglie a pretesto lo scadere del Tribunale sui crimini commessi nell’ex Jugoslavia (Icty in sigla) per ripro- porre le accuse solite: giustizia dei vincitori, persecuzione dei vinti. Si cita a proposito il processo contro Milosevic: che tuttavia dimostra esattamente l’opposto. L’incriminazione del presidente serbo fu un atto quasi dovuto, essendo provata la dipendenza da Belgrado
Nella causa giudiziaria che lo Stato spagnolo ha aperto contro l’ind ipende ntismo è coinvolta un’intera generazione di leader politici e sociali: dai Jordis, delle associazioni Assemblea Nacional CatalanaeÒmnium Cultural, alla presidente del parlamento catalano Carme Forcadell e alcuni componenti della presidenza, al presidente Carles Puigdemont e al vicepresidente Oriol Junqueras e il resto dei consiglieri del governo della Gene rali tat, al maggiore dei Mossos d’Esquadra Josep Lluís Trapero. Sono tutti accusati dei delitti di ribellione ( tranne Trapero e i Jordis), sedizione e malversazione di fondi pubblici per aver proclamato la repubblica, o organizzato manifestazioni pacifiche. Ora la lista degli indagati con le stesse accuse si va allargando, coinvolgendo tra gli altri Artur Mas, presidente del Partit Demòcrata, Marta R ov ir a, segretaria di Esquerra Republicana e riconfermata deputata e Anna Gabriel, ex deputata della Candidatura d’Unitat Popular. In tutto, sono il 12,6% dei membri del nuovo parlamento catalano (17 deputati su 135) è incriminato dalla giustizia spagnola.
L’elemento più anomalo della campagna elettorale appena trascorsa è stato infatti la presenza di candidati nelle liste repubblicane rinchiusi in carcere, o appena liberati, oppure temporaneamente residenti a Bruxelles in condizioni di auto-esilio.
Nella prigione di Estremera, dal 2 novembre, sono an- delle milizie serbo-bosniache, con la conseguenza logica che Milosevic era nelle condizioni di porre fine alle violenze sui civili, se solo avesse voluto. Ma la colpevolezza personale del presidente serbo avrebbe comportato inevitabilmente la responsabilità della Serbia, che di conseguenza sarebbe stata obbligata a risarcire astronomici danni di guerra alla Bosnia. Risultato, una Serbia alla fame in preda ai propri rancori sarebbe diventata una Weimar balcanica. Quando un tempestivo infarto pose fine alla vita di Milosevic e al suo processo, non solo a Belgrado tirarono un sospiro di sollievo. In una sentenza successiva (condanna di Karadzic) il Tribunale ha definito “non sufficienti” le prove raccolte contro Milosevic, e non poteva essere altrimenti: chi avrebbe dovuto for- nire quelle prove, la Serbia e un paio di polizie europee, aveva semmai l’interesse a nasconderle o a mettere in buona luce l’imputato.
La giustizia internazionale tende a essere miope e generosa (lo fu perfino il tribunale di Norimberga, valga la sorte del nazista Albert Speer, ministro degli Armamenti, scarcerato dopo 11 anni) perché sconta un vizio strutturale: la sua dipendenza dagli Stati, che eleggono i giudici, finanziano le corti, svolgono compiti di polizia giudiziaria. Da qui la sua relativa inefficacia, frenata com’è dalla ragione di Stato e dai calcoli del Dopoguerra. Insomma è uno strumento assai imperfetto. Ma infinitamente migliore della sua alternativa: la clava agitata da tribù eccitate e urlanti, il diritto storico. cora prigionieri Oriol Junqueras eQuim Forn, rispettivamente vicepresidente e consigliere degli Interni del governo. Nella prigione di Soto del Real, invece, dal 16 ottobre sono reclusi Jo rdi Sánchez, ex presidente della Anc e Jordi Cuixart, presidente d i Ò mn i um . Junqueras era capolista nella lista di Erc, Forn e Sánchez erano candidati nella lista di JxCat, mentre Cuixart ha preferito non candidarsi in nessuna lista.
RIMESSI in libertà alla vigilia della campagna elettorale sono stati Raül Romeva( Esteri), Carles Mundó (Giustizia) e Dolors Bassa (Lavoro e Affari Sociali), candidati nella lista di Erc; Jordi Turull, portavoce del governo, Josep Rull (Territorio e Ambiente), candidati nella lista JxCat e Meritxell Borràs, consigliera del governo, dirigente del PdeCat che ha scelto di non esser ricandidata.
A Bruxelles accompagnano il presidente Carles Puigde mo nt le consigliere e i consiglieri Meritxell Serret (Agricoltura) e Toni Comín (Sanità), candidati per Erc; Lluís Puig (Cultura) e Clara Ponsatí( Scuola), candidati in JxCat.
Il problema che perciò si presenta il giorno dopo la celebrazione delle elezioni, è come i 3 ex-candidati ancora in carcere e i 5 ex-candidati a Bruxelles che con le elezioni sono diventati deputati, potranno svolgere il loro lavoro di p a r la m e n t ar i . Peraltro, è probabile che gli e x - c o n si g l i e r i tornino a far parte del futuro governo. E ancora di più bisognerà vedere come potrà rientrare Puigdemont in Catalogna, come aveva promesso, per essere investito presidente della Generalitat senza essere arrestato appena metta piede in Spagna.
Il nodo di Carles Sul “governatore” pende la minaccia dell’arresto una volta tornato in patria