Il Fatto Quotidiano

“Potere, ora noi donne dobbiamo usare la forza”

- » SILVIA TRUZZI

In occasione di un otto marzo di qualche anno fa avevamo intervista­to Sabina Ciuffini, che ai tempi gestiva un portale ( unaqualunq­ue.it), oggi scomparso: “Me l'hanno hackerato”, ci spiega in un salotto della sua Locanda Solferino. Ci avevano colpito moltissimo due cose: “Ho cominciato a chiedere finanziame­nti per il mio portale alle grande distribuzi­one, come risarcimen­to per ogni borsa della spesa che noi tutte abbiamo portato e continuiam­o a portare”. Da allora, non abbiamo più potuto fare la spesa senza pensare a quanti soldi avremmo guadagnato se ci avessero dato anche solo un centesimo per ogni busta trasportat­a. Seconda affermazio­ne: “Dobbiamo restare in contatto, abbiamo bisogno di tutte le donne. Anche delle stronze, delle cattive, di quelle un po’ zoccole che ci fregano gli uomini. Ho rispetto per qualunque donna abbia trovato la via del potere. Mi rifiuto di guardare il dettaglio: sono percorsi rari, spesso border

line”. La donna, bellissima, che abbiamo davanti oggi non ha cambiato idea: “Vedo un grandissim­o impegno delle donne sui temi delle donne. Però, avendo 67 anni, mi rendo conto che con tutta la pazienza e l’impegno, non si incide di una virgola”.

Però negli ultimi decenni tante cose sono cambiate.

Con la filosofa Luisa Muraro della Libreria delle donne, dove sono arrivata come al mio solito con grave ritardo, ne ho discusso a lungo. Loro dicono ‘ma come, abbiamo fatto passi da gigante!’. Ed è vero. Le condizioni sociali e, direi ,‘ geografich­e’ sono cambiate: il mondo interconne­sso è minuscolo. Il lavoro di svuotare il mare con un cucchiaio che un tempo era giustifica­to, oggi non lo è più. È tutto estremamen­te chiaro: ma allora perché un problema così lapalissia­no come l’oggettiva differenza di condizione non è stato risolto? Non ci sono più scuse.

Perché non si riesce a ottenere un risultato?

Per quella che io chiamo ‘narrazione di ritorno all’ordine’. A ogni azione che le donne mettono in pratica corrispond­e una contro-reazione mediatica efficaciss­ima che ci lascia annichilit­e.

Parla delle molestie?

Anche. Ma il punto non è se la denunciant­e di turno dice il vero o no, le molestie sono un fatto dimostrato.

Il piano processual­e e quello mediatico sono distinti. E il fatto di parlarne, oltre a incoraggia­re le donne a denunciare, avrà un effetto deterrente. O no?

Per qualche mese forse... Ma bisogna cercare di capire perché tutto questo è potuto accadere. Torniamo alla narrazione delle donne, pensiamo a qual è il modello femminile prevalente nelle trasmissio­ni televisive, nei videogioch­i, nelle fiction, sui social network, negli spot. Non viene rispettata nessuna regola di buona amministra­zione del rapporto tra i sessi. A cominciare dal servizio pubblico fino al Grande fratello. La lotta è impari perché le donne non vogliono usare la forza.

Fisica?

Ecco vede? La sua reazione è quella più comune. Le donne si ritraggono. Se tu parli di ‘autorità femminile’, la pluri-laureata ti risponde: ‘Vorrà dire autorevole­zza’. Eh no, io voglio dire proprio autorità. C’è un complesso di genere: all’azione violenta dei media da parte di tutto il genere maschile che ha in mano il potere, la reazione femminile collettiva è debole. E questo perché le donne non hanno ancora deciso di usare la forza. Che non è solo il pugno in faccia. La forza può essere declinata come‘ collettiva ’,‘ sociale ’,‘ culturale ’,‘ politica ’. Una forza che avanzi delle pretese. Che dia degli ordini. Non siamo macchine pensanti che si emozionano, noi siamo macchine emotive che pensano. Tutti, donne e uomini. Le donne però hanno un enorme potere interiore che le appaga. Pensano che basti, non sanno quanto sono fuori strada E poi c’è un altro dato su cui poco si riflette, che io chiamo il cerchio di fuoco.

Sarebbe?

Che tutte siamo tanto, troppo, occupate. Questo cerchio di fuoco di mille quotidiane incombenze, lo attraversi­amo pensando di dover dimostrare il nostro valore. Fino alla terza, quarta età. Diciamo basta a questo continuo bisogno di conferme. E lavoriamo sull’immaginari­o, cominciamo a raccontare una storia diversa. È un’ operazione, narrativa appunto. Che le donne devono fare insieme in ogni ambito, dal libro al cinema, dalla television­e alla rete.

Le iniziative di riflession­e sulla condizione delle donne sono molte.

Sì, ma le donne hanno smesso di prestare attenzione, perché non vedono il risultato. La parità è ancora una chimera. Peraltro è una parola che mi dà noia: non è un problema di parità, ma di rispetto. Che manca. Per questo sto tentando un lavoro ispirazion­ale, dedicato alle donne italiane sul potere simbolico delle sante cattoliche che, nate sul nostro territorio, fanno parte della nostra genealogia.

In che senso?

Ci sono cronache illuminant­i e dettagliat­e negli archivi del Vaticano, biografie che la Chiesa non ha mai valorizzat­o ma da cui potremmo trarre grandi ispirazion­i. Perché percepisco­no il potere simbolico. Il potere irato di Agata che ferma i vulcani, la sua vittoria morale contro l'Impero Romano, per la libertà di culto. Santa Lucia, con la sua fermezza potente, Santa Chiara capace di fondare monasteri misti durante il medioevo e tante altre che trascesero il loro genere durante la vita terrena... Curiosamen­te se ne parla poco.

Asia Argento ha detto: dopo la violenza ho cominciato io stessa a oggettiviz­zare il mio corpo. Ed è vero per moltissime ragazze che mettono avanti il corpo, per esempio sui social network.

Questo accade perché la narrazione maschile condiziona completame­nte anche le donne, soprattutt­o le più giovani. Finché resteremo, tutti, esposti a un certo tipo di comunicazi­one fin dalla più tenera età, le cose non cambierann­o.

Un’obiezione possibile alle sue posizioni radicali, è che sono un tentativo di revanche rispetto a millenni di predominio maschile.

Io contesto l’impostazio­ne, che è perdente. Abbiamo prima detto del modello femminile veicolato dalla tv. Su questo sono stati fatti centinaia di incontri, dibattiti, talk show. Ecco, è dimostrato che tanto chiacchier­are non porta a nulla. Allora facciamo che o cambia il modello, oppure si leva la licenza alla rete televisiva.

Censura?

Ma no! Certe immagini passano perché il potere maschile vuole quello. Io non censuro, impedisco di usare il femminile in quel modo. Perché? Perché noi, le donne, non siamo d’accordo. E la punizione deve essere grave quanto l’offesa.

Ai suoi tempi in tv era diverso?

Intanto le ragazze erano tutte in piazza. Io sono arrivata in Viale Mazzini nel 1968, mi ero appena messa la minigonna. Quando sono entrata, in certi ambienti la Rai era mal considerat­a, altro che tv commercial­e. Oggi Rischiatut­to sembra la Divina commedia, ma allora non era così. Quando ho conosciuto Bernabei, ho percepito un grande senso di responsabi­lità. Mi chiamava prima della trasmissio­ne per le raccomanda­zioni: ‘Mi raccomando dica duecento, con la pronun--

Le molestie Il punto non è se la denunciant­e di turno dice il vero o no. Le molestie sono un dato dimostrato Cerchiamo di capire com’è potuto accadere

MINISTRA O MINISTRO?

Ma chi se ne frega! Il dibattito si schiaccia sulle cazzate, è un depistaggi­o. Credo che Boldrini sia in buona fede, ma ha fatto molto male alla causa

LE CONTROMOSS­E DA ATTUARE

Pensiamo a qual è il modello femminile prevalente in tv Non viene rispettata nessuna regola di buona amministra­zione del rapporto tra i sessi. Allora facciamo che o cambia il modello oppure si leva la licenza alla rete televisiva

cia corretta, perché stiamo insegnando l’italiano ai telespetta­tori’. Oppure mi mandavano, con le annunciatr­ici, a fare dei seminari. Uno di questi lo teneva Pier Paolo Pasolini.

Lei è stata la prima in tv con la minigonna: si è pentita? Ma no, anzi. La mia minigonna e l’ombelico della Carrà sono stati i simboli della rivoluzion­e sessuale. Conservo pacchi di lettere delle mie coetanee di allora. Mi scrivevano che i loro padri di fronte al fatto che io, percepita come la brava ragazza che in effetti ero, mettevo la minigonna, non trovavano obiezioni al fatto che la indossasse­ro pure loro. Però, attenzione: io avevo una posizione, un portamento, un modo in cui dovevo stare in studio. Intendo: non mi agitavo sculettand­o. Non ero sguaiata. Aggiungo: ero stata lasciata libera di esprimere la miareale femminilit­à secondo la mia natura, non secondo uno standard predefinit­o come accade oggi.

Però ha posato su Pl ayboy...

Ma no! Sono stata convocata da un grande fotografo, per i miei 21 anni: ‘Facciamo delle foto per Tempo illustrato?’. Il set è durato tre giorni, con lui che litigava in continuazi­one con la moglie. Da lei ho poi saputo che era scandalizz­ata perché questo servizio era stato ordinato da Paolo Mosca per Playboy, di cui lui era appena diventato direttore, senza che io lo sapessi e il fotografo tentava di immortalar­mi nuda di nascosto, mentre mi cambiavo. Tanto che hanno dovuto disegnare il pizzo sulle mutandine di cotone bianco. Non si vede nul- la: gli americani non volevano far uscire il servizio perché era troppo morigerato. E dissero a Mosca: se questo numero non va bene sei licenziato. Lui fece triplicare la tiratura. Fu un grande successo, ma io piansi tutte le mie lacrime: scrissi anche l’articolo pensando che fosse per Tempo illustrato! Poi c’è stata una lunga causa, ma io avevo come testimone solo il mio fidanzato.

E Mike?

Quelle foto uscirono prima dell’ultima puntata. Finalmente il dottor Salvi, un importante funzionari­o Rai che cercava di sostituirm­i a ogni edizione non riuscendo a oltrepassa­re il niet di Mike, si poteva prendere una piccola vendetta. Mike mi ha sempre protetta, senza dirmi nulla. Salvi odiava perché ero spuntata dal nulla e avevo, grazie a Rischiatut­to , contratti pubblicita­ri molto importanti senza dare nulla in cambio, né bacetti né soldi...

Le molestie allora c’erano? Ci stavano attentissi­mi: io ero minorenne. Si diventava maggiorenn­i a 21 anni, cosa che io rimetterei perché una ragazzina di 18 anni che testa può avere? Il meccanismo era diverso. La star, l’aspirante star aveva qualcosa di prezioso da cedere, che allora valeva moltissimo. Abbiamo regalato la fionda a Golia.

Si riferisce al sesso?

Noi pensavamo che, dopo secoli di repression­e, finalmente avremmo potuto fare l'amore con gli uomini di cui c'innamorava­mo. Una cosa che ho cercato invano di spiegare a Silvio Berlusconi. C’era una difficoltà tra gli uomini, soprattutt­o più anziani, a introietta­re il concetto di rivoluzion­e sessuale. Il risultato è che abbiamo reso una consumazio­ne gratuita l'unico strumento di potere di cui disponevam­o. Ora non vale più niente. Non invidio le ragazze di oggi: la più brutta di noi aveva la fila fuori dalla porta. Era meglio cinquant'anni fa?

Mi rendo conto che certi discorsi sono impopolari. Però non possiamo negare che prima del divorzio, per cui ci siamo battute come leonesse, lo status della moglie era immutabile. Gli uomini erano gli unici detentori della ricchez- za, ma le loro vedove la ridistribu­ivano. C'era una logica, perversa, ma pur sempre una logica. Oggi abbiamo tutto il retaggio culturale delle nostre nonne, compreso il cerchio di fuoco, con in più il fatto che ti sposi, tiri su tre figli e in un batter d'occhio il marito ti può sostituire con un'altra. E manco paga. Una volta le mogli erano per sempre e costituiva­no un blocco che aveva potere.

È un problema economico? Ma certo che sì: le donne detengono l' 1 per cento della ricchezza del mondo. Ma hanno un rigetto per il denaro. Non faccio che sentirmi dire ‘a me i soldi non interessan­o’. Ed è vero: alle donne interessan­o l'amore e molte altre cose bellissime. Però il denaro è l'esclusivo perno del nostro modello di sviluppo e questo non è un dettaglio. Dobbiamo rispettare il denaro, che non deve più essere il dio dei maschi, ma il servitore delle femmine. Le quali, che cosa fanno? Danno la vita, curano i figli e gli anziani, proteggono la qualità dell’e s istenza. Tutto questo ha bisogno dei soldi.

Quote rosa?

Sono forse servite a qualcosa? Per carità, vanno benissimo, però sono inutili. Le donne hanno bisogno costanteme­nte di dire ‘ce la faccio da sola’, ‘ce la faccio per i miei meriti’. Ma è la questione di una singola persona, dobbiamo ragionare come collettivi­tà. Peraltro delle quote rose hanno beneficiat­o le cooptate: zie, nipoti e mogli di...

Ministra o ministro?

Ma chi se ne frega! Ci impuntiamo sui dettagli. Le donne hanno dei problemi gravi. L'eccesso di politicame­nte corretto, di perfezioni­smo, di ingenuità, di timidezza, di scrupoli nei confronti degli uomini. Il dibattito si schiaccia su queste cazzate, ma è un depistaggi­o. Io credo che Laura Boldrini sia in buona fede, ma che abbia fatto molto male alla causa: cose come queste sono un boomerang. Chi sta a casa e vede, invece che culi e tette, un talk show su queste sciocchezz­e, e in un secondo cambia canale. Prima vengono le cose essenziali. Per esempio: basta ammazzare le donne. Cioè non si fanno vedere più donne accoltella­te, con dettagli splatter. La società dello spettacolo, come aveva intuito Guy Debord, è il centro del problema, anche femminile.

Cosa propone?

Pochi punti di benessere ‘antropolog­ico’: un tetto sopra la testa, il cibo sano, l'aria buona, l'assistenza garantita ad anziani e bambini, di cui le donne si fanno carico. Le donne devono lavorare, tutte, per questi obiettivi. Ottenere risultati è essenziale: senza, le donne si demoralizz­ano.

Sa che dicendo queste cose terrorizza i già terrorizza­ti maschi?

Abbiamo un dovere non solo nei confronti dei nostri figli, dei nostri vecchi, delle nostre sorelle, ma anche un dovere nei confronti degli uomini. Non si può negare che attualment­e il loro sia un percorso distruttiv­o. Una decisa assunzione di responsabi­lità rispetto al potere da parte delle donne salverà anche gli uomini, che sono i nostri amati figli, fratelli, padri.

I nostri figli, fratelli e padri Una decisa assunzione di responsabi­lità rispetto al potere da parte delle donne salverà anche gli uomini

Rivoluzion­e sessuale Pensavamo che avremmo potuto fare l’amore con chi amavano. Il risultato è che abbiamo reso una consumazio­ne gratuita l’unico potere di cui disponevam­o

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LaPresse Con Mike Bongiorno Sabina Ciuffini con Mike che la scoprì in uno studio televisivo negli anni Settanta

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