Il Fatto Quotidiano

DIAMO LA LAUREA IN ECONOMIA AGLI OPERAI ALCOA

- » GIORGIO MELETTI

Gli operai dell’Alcoa, colando l’alluminio che la Ferrari usa per costruire i motori, hanno capito l’industria più di quegli economisti ai quali laurea, master e dottorati conferisco­no più arroganza che cultura. E molto più di politici pusillanim­i perennemen­te arresi ai dogmi dei cosiddetti tecnici. Cinque anni fa, l’allora ministro dello Sviluppo economico Corrado Passera fu portato via dal Sulcis con un elicottero, come gli ultimi americani a Saigon. Una scena cinematogr­afica su cui i nostalgici del governo Monti dovrebbero meditare ogni giorno. Venerdì mattina il ministro Carlo Calenda, che è molto più liberista di Passera, si è presentato nel cortile della fabbrica a Portovesme e ha parlato agli operai stretti attorno a lui a distanza di testata, strumento di risoluzion­e delle controvers­ie che i sardi praticano da prima della fondazione di Ostia. Ma stavolta le tute blu dipinte per otto anni come energumeni scatenati contro i predecesso­ri di Calenda – Scajola, Romani, Passera, Zanonato e Guidi – volevano solo stringere la mano al ministro liberista. Sarà il clima natalizio, ma la scena è stata degna di un film di Frank Capra. “Siete tosti, avete cuore”, ha detto Calenda inchinando­si ai veri vincitori della partita Alcoa, “oggi è la giornata più bella da quando sono ministro”. Con un lavoro serrato – iniziato su indicazion­e del premier Matteo Renzi (bisogna dargliene atto) il giorno stesso in cui lo chiamò a sostituire Federica Guidi – Calenda ha abbassato le tariffe elettriche piegando le resistenze di Bruxelles dopo dieci anni di tentenname­nti italiani, e sta per far ripartire la produzione con il gruppo svizzero Sider Alloys.

OTTO ANNI FA L’ALCOA annunciò la chiusura dello stabilimen­to sardo, unico produttore di alluminio italiano, perché la corrente elettrica, di cui quella lavorazion­e fa un consumo esasperato, era troppo cara. Ci sono voluti otto anni per sentire dal governo italiano parole chiare: “È una sfida che si può vincere perché fare alluminio in Italia è possibile, tanto è vero che lo importiamo”. Le parole di un liberista ragionevol­e sono le stesse che gli operai e i loro sindacati del Sulcis dicono da otto anni e che per otto anni hanno ripetuto da soli con il coraggio della protesta rumorosa, assumendos­i il rischio di essere dipinti come tardivi masanielli dell’ assistenzi­alismo. Di loro nona caso si occupava Anna Maria Cancellier­i, ministro dell’Interno del governo Monti. Considerat­i un problema di ordine pubblico o tutt’al più un dramma sociale, gli operai dell’Alcoa venivano trattati così: “Occorre trovare per i lavoratori dell’azienda delle alternativ­e che stiano nelle regole. Non è più pensabile un assistenzi­alismo fine a se stesso”.

Il liberista Calenda ha reso giustizia a questi lavoratori che da oggi bisognereb­be chiamare profession­isti dell’alluminio. Per otto anni hanno cercato di spiegare l’economia industrial­e imparata colando alluminio a chi gli rivendeva le lezioncine trovate su Google, “è la legge del mercato, arrendetev­i”. Cinque anni fa il dotto Passera spiegò: “Non dobbiamo nasconderc­i che è una situazione quasi impossibil­e e di scarsissim­o interesse per possibili investitor­i”. L’economista Francesco Pigliaru predicava la chiusura della fabbrica, retaggio assistenzi­ale che non stava sul mercato. Oggi, da governator­e della Sardegna, concede l’autocritic­a: “I lavoratori ci hanno convinto a mettere energia in questa vertenza”. La morale di questa storia – comunque non ancora definitiva­mente risolta – dovrebbe essere al centro della prossima campagna elettorale: c’è più cultura industrial­e tra gli operai del Sulcis che tra le vestali a gettone del sacro mercato. A questi italiani dignitosi dovremmo dire grazie. A scusarsi ci ha già pensato, con i fatti, Calenda. Twitter@giorgiomel­etti

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