DIAMO LA LAUREA IN ECONOMIA AGLI OPERAI ALCOA
Gli operai dell’Alcoa, colando l’alluminio che la Ferrari usa per costruire i motori, hanno capito l’industria più di quegli economisti ai quali laurea, master e dottorati conferiscono più arroganza che cultura. E molto più di politici pusillanimi perennemente arresi ai dogmi dei cosiddetti tecnici. Cinque anni fa, l’allora ministro dello Sviluppo economico Corrado Passera fu portato via dal Sulcis con un elicottero, come gli ultimi americani a Saigon. Una scena cinematografica su cui i nostalgici del governo Monti dovrebbero meditare ogni giorno. Venerdì mattina il ministro Carlo Calenda, che è molto più liberista di Passera, si è presentato nel cortile della fabbrica a Portovesme e ha parlato agli operai stretti attorno a lui a distanza di testata, strumento di risoluzione delle controversie che i sardi praticano da prima della fondazione di Ostia. Ma stavolta le tute blu dipinte per otto anni come energumeni scatenati contro i predecessori di Calenda – Scajola, Romani, Passera, Zanonato e Guidi – volevano solo stringere la mano al ministro liberista. Sarà il clima natalizio, ma la scena è stata degna di un film di Frank Capra. “Siete tosti, avete cuore”, ha detto Calenda inchinandosi ai veri vincitori della partita Alcoa, “oggi è la giornata più bella da quando sono ministro”. Con un lavoro serrato – iniziato su indicazione del premier Matteo Renzi (bisogna dargliene atto) il giorno stesso in cui lo chiamò a sostituire Federica Guidi – Calenda ha abbassato le tariffe elettriche piegando le resistenze di Bruxelles dopo dieci anni di tentennamenti italiani, e sta per far ripartire la produzione con il gruppo svizzero Sider Alloys.
OTTO ANNI FA L’ALCOA annunciò la chiusura dello stabilimento sardo, unico produttore di alluminio italiano, perché la corrente elettrica, di cui quella lavorazione fa un consumo esasperato, era troppo cara. Ci sono voluti otto anni per sentire dal governo italiano parole chiare: “È una sfida che si può vincere perché fare alluminio in Italia è possibile, tanto è vero che lo importiamo”. Le parole di un liberista ragionevole sono le stesse che gli operai e i loro sindacati del Sulcis dicono da otto anni e che per otto anni hanno ripetuto da soli con il coraggio della protesta rumorosa, assumendosi il rischio di essere dipinti come tardivi masanielli dell’ assistenzialismo. Di loro nona caso si occupava Anna Maria Cancellieri, ministro dell’Interno del governo Monti. Considerati un problema di ordine pubblico o tutt’al più un dramma sociale, gli operai dell’Alcoa venivano trattati così: “Occorre trovare per i lavoratori dell’azienda delle alternative che stiano nelle regole. Non è più pensabile un assistenzialismo fine a se stesso”.
Il liberista Calenda ha reso giustizia a questi lavoratori che da oggi bisognerebbe chiamare professionisti dell’alluminio. Per otto anni hanno cercato di spiegare l’economia industriale imparata colando alluminio a chi gli rivendeva le lezioncine trovate su Google, “è la legge del mercato, arrendetevi”. Cinque anni fa il dotto Passera spiegò: “Non dobbiamo nasconderci che è una situazione quasi impossibile e di scarsissimo interesse per possibili investitori”. L’economista Francesco Pigliaru predicava la chiusura della fabbrica, retaggio assistenziale che non stava sul mercato. Oggi, da governatore della Sardegna, concede l’autocritica: “I lavoratori ci hanno convinto a mettere energia in questa vertenza”. La morale di questa storia – comunque non ancora definitivamente risolta – dovrebbe essere al centro della prossima campagna elettorale: c’è più cultura industriale tra gli operai del Sulcis che tra le vestali a gettone del sacro mercato. A questi italiani dignitosi dovremmo dire grazie. A scusarsi ci ha già pensato, con i fatti, Calenda. Twitter@giorgiomeletti