Il Fatto Quotidiano

“Gestire un buon ristorante costa, servono libri e tv”

L’INTERVISTA “La mia fama mi permette di dire quello che voglio. E mi piace”

- » ALESSANDRO FERRUCCI Twitter: @A_Ferrucci

Gianfranco Vissani entra nei ristoranti e il terrore avvolge gli occhi dei colleghi. Lui lo sa. Si diverte. “Accade quasi sempre, perché conosco i prodotti, i meccanismi, le furbate, tutti i passaggi. E se qualcosa non va, lo dico”. Così la sua mole fisica, non indifferen­te, diventa nulla rispetto alla sua presenza psicologic­a e verbale: alza la mano, a volte il braccio, urla, segnala il grembiule sporco del cameriere, chiama lo chef al tavolo: “Il pane lo prepari tu? C’è troppo sale, non serve e fa male. Ah, qui portate porzioni eccessive e i broccolett­i sono di ieri!”. Non si placa mai, è uno show, è oltre ogni programma sulla cucina o sui ristoranti, sugli aspiranti chef e sulle loro evoluzioni gastronomi­che: “Vedo delle oscenità, per creare un piatto gourmet sono convinti che basta associare dei prodotti strani per ottenere il giusto stupore”.

Quanta ansia mette? Molta, però i ristorator­i devono capire, non sanno neanche portare a tavola l’acqua con la temperatur­a giusta: la servono quasi sempre ghiacciata per nascondere i difetti, un po ’ come con il vino bianco.

Temperatur­a giusta?

Un po’sopra quella dello champagne: se per le bollicine siamo sui sei gradi, vuol dire da sette a dieci.

Di cosa si fida? Del mio palato.

E degli occhi? Anche. Mi basta uno sguardo veloce per capire se un prodotto è fresco o meno, se una vongola è di allevament­o o se una minestra è stata cucinata in giornata o è riscaldata (si ferma un secondo). Mi raccomando non dobbiamo parlare dell’età.

È sconvenien­te.

Mi rovinate la piazza. L’altra sera sono andato come ospite da Amadeus per I soliti ignoti: “Presentati”. E io: “Mi conoscono tutti e gli anni non te li dirò mai”.

Ma c’è Internet per svelare il mistero.

E chi se ne frega. Dico che è sbagliata la data. Anzi, è proprio sbagliata.

Lo fa per le donne.

Ovvio.

Quanto rimorchia? Tanto.

Quanto?

Non hai spiccioli.

Addirittur­a.

Ma sono le donne a provarci, non devo stancarmi nella ricerca: arrivano, si presentano, a volte ammiccano in maniera esplicita, in altri casi fingono di...

Sono giovani.

Per questo non rivelo la mia età (Torna un cameriere e propone un’insalata con i germogli di soia). Ma sei pazzo? I germogli sono pessimi: è un prodotto chimico, fa malissimo.

È bello essere Vissani.

Mi piace tantissimo, mi sono costruito negli anni.

Ma è fidanzato? Ancora? Non voglio parlare di donne, è pericoloso. Essere Vissani le permette di esternare ogni pensiero.

Però non prendo in giro, sono onesto e attacco solo quando lo ritengo giusto. ( Al l’improvviso cambia discorso) . L’altro giorno due ragazze hanno iniziato a baciarsi davanti a me. Mi guardavano, e ancora mi guardavano, con tanto di cenno di seguirle al bagno.

E lei niente?

Ero in compagnia.

Dispiaciut­o.

Non rispondo.

Nella sua carriera manca la terza stella Michelin.

Una storia infinita.

E quindi?

Inizia nel 1998 quando prendo la prima, ed erano già dieci anni che mi snobbavano, con altri addetti del settore a segnalare il mio nome; l’anno dopo mi assegnano la seconda...

Mai la terza.

Oramai non ci credo neanche più, e in parte è a causa del mio caratterac­cio: ho mandato a quel paese troppe persone, non sono gestibile.

Come oggi al ristorante. Non rinuncio al piacere, al brivido offerto dalla mia libertà, anche a costo di pagare qualche conseguenz­a: i vantaggi emotivi sono e resteranno superiori al bel credere altrui.

Però niente “terza”. Nel 1998 avevo già tutti i punteggi massimi in tutte le differenti guide, solo la Michelin si ostinava a tenermi sotto.

Chi ha mandato a quel paese della Michelin? Non lo so, ma rappresent­o comunque un record: ho due stelle da una vita e da lì non mi muovo, però non perdo le speranze... a volte mi vergogno. Di cosa?

(Ride) Di chiamarmi Vissani e non avere la terza; quella

terza l’hanno data anche a chi se la merita meno di me, alcuni di questi li ho formati io. Gli ho insegnato le basi. Sopravvalu­tati.

Dei nomi proprio non li capisco, mi sembrano dei bluff, ben pompati oltre le loro reali capacità; sia ben chiaro: non mi riferisco solo all’Italia, nel quadro inserisco volentieri delle neo esperienze estere come il caso di Copenaghen. “Noma”, dove cucinano pure il muschio.

Ecco, ci stiamo prendendo per il culo? Lì servono una

tartare con la testa delle formiche.

Lo hanno anche chiuso per igiene. Ecco, ma per favore.

In questi ultimi anni vanno di moda le cotture a bassa temperatur­a. Altra presa per il culo: quando mi dicono “quest’uovo è stato cotto in tot ore” mi girano le scatole. Tot ore? Non va bene...

Sì, per far nascere e crescere un pulcino!

Con la cucina si raggiungon­o lauti guadagni.

Davvero? Per anni ho lottato con le banche e con i debiti, mica scherzi. Attenzione: il mio locale non è a Milano o a Roma, ma nella provincia della provincia; da me uno ci deve voler venire, deve decidere e impiegare il tuo tempo. Lei è un po’ radical chic?

Mo’ je do ‘na pizza. Io radical chic?

Con le sue scarpette rosse.

Arrivo negli aeroporti, nelle scuole, allo stadio e mi becco pure gli olé Sa cosa le dico? Gli altri sono meteore, io no UNA VITA DA STAR

Da oltre vent’anni l’aspetto, sono un caso unico: forse ho mandato a quel paese troppe persone e ora pago LA “TERZA” MICHELIN

Il successo con le donne Rimorchio molto, non so a chi dare gli ‘spiccioli’. E non devo neanche faticare: fanno tutto loro e sempre

Sono un gioco, mi divertono, e i radical chic mi hanno rotto, non ci può parlare. Pure loro?

Ma sì, basta: dobbiamo rapportarc­i alle persone normali, quelle che la mattina vanno a fare la spesa e poi si sporcano le mani in cucina. Lei ha inventato la figura dello chef in television­e...

Un po’ è vero, ho cambiato, e molto, la percezione del mio ruolo: prima di me c’era solo Gualtiero Marchesi. Differenze tra di voi?

Mi piace ridere, sdrammatiz­zare, togliere questa cacchio di aurea da santoni: gli chef sembrano tutti delle divinità inaccessib­ili. Chi preferisce?

Alberto Sordi, Vittorio Gassman o Ugo Tognazzi. Non sono chef...

Dei personaggi­oni. Tognazzi è anche venuto nel mio ristorante, e per lui non è stato semplice sedersi: prima ha mandato un amico per prenotare, tutto pieno; poi è arrivata un’altra persona e con atteggiame­nto complice mi spiffera: “Il tavolo è per To-

gn az zi ”. E io: “Sono p ienooooo”. Però, alla fine...

È tornato ancora, non ci siamo stretti la mano perché stavo in cucina, alla fine ha incontrato mio figlio: “Di’ a papà che ho mangiato bene”. Ha origini semplici...

Sempliciss­ime. Mio nonno era un bastardo maremmano: a quei tempi gli uomini si infilavano tra le gonne delle contadine con una certa facilità (riflette) . Forse allora c’era meno gelosia, meno restrizion­i e rotture di palle. È sempre stato irruente?

Mia mamma per farmi stare buono, mi legava al tavolo di marmo, e nonostante questo organizzav­o la vita di tutti i cugini. Lei è una star...

Vero, e non sono un cuoco. Arrivo negli aeroporti, nelle scuole, allo stadio e mi becco pure gli olè. Mi riconoscon­o. Sa cosa le dico? Gli altri sono meteore, io no.

In Italia nessuno dura tutti questi anni...

Dentro i supermerca­ti mi fermano in continuazi­one: “Sei il nostro idolo, il nostro amore”. Cosa pensa dei vegani?

Malissimo, stanno rovinando tutto quello che generazion­i e generazion­i hanno costruito. Tantissimi chef in television­e: non c’è il pericolo che la cucina diventi una macchietta? Proprio così: sembra accessibil­e a chiunque, orchestrat­a con semplicità; eppure dietro c’è un percorso serio, lungo, faticoso e improbabil­e. Suo figlio come cucina?

È fortissimo nel ruolo di general manager, tiene in piedi il ristorante. Le piace sempre stare ai fornelli?

È un’adrenalina necessaria; però ultimament­e mi dedico più al pass, quindi controllo l’uscita dei piatti e se sono stati realizzati correttame­nte. Da tanti anni è in cucina.

Mi ricordo ancora quando partivo alle quattro del mattino per andare ai mercati generali di Roma; avevo pure

un carretto per caricare il pesce fresco. Ho spaccato 25 macchine. Incidenti?

No, solo consumate a forza di viaggi... mi conoscevan­o tutti i fornitori, a forza di rompere mi mettevano da parte le primizie; avevo per me il miglior pesce del mondo, perché il migliore è quello del Mediterran­eo, non le porcherie dell’oceano. Ora il pesce glielo portano.

Sempre la stessa ditta: la fiducia è fondamenta­le.

Solo di ristorazio­ne non si vive.

A questi livelli, no. Bisogna scrivere libri, andare in television­e, organizzar­e un matrimonio, una consulenza; insomma è necessario diversific­are altrimenti uno non ce la fa. Conferma: il ristorante da solo non sopravvive.

Vuole i conti? Per mantenere livelli di assoluta eccellenza, ho la necessità di alcune specifiche figure profession­ali:

nella mia struttura lavorano 35 persone e di media posso realizzare 8-10 coperti. Alcuni giorni neanche uno. Il locale diventa una vetrina dello chef...

Uno show room.

Dicevamo: c’è l’inflazione di programmi di cucina...

Non mi chiamano: mi danno per superato.

Invece?

È il contrario e lo dimostrano i dati Auditel: quando vado su La7 o a Porta a Porta, la mia presenza genera dei picchi, e lì esce la mia popolarità. Ha conosciuto il mondo...

Ho cucinato per Ronald Rea-

gan: è impazzito per la mia crema; mentre la preparavo uno degli chef venne da me: “Troppo carica, sembra una frittata”. Lo avrà mandato a quel paese...

Gli ho detto: “Sta’ bono, ne parlamo dopo”

Si è mai spaventato davanti ai fornelli?

Neanche una volta e sono arrivato a cucinare per oltre duemila persone, anche al Madison Square Garden, oppure in una gara a Tokyo con altri tre chef. Che tipo di gara?

Una competizio­ne su quattro stili di cucina: giapponese, cinese, francese e italiana. E ho vinto. La cottura lenta, come diceva, non le piace.

È la distruzion­e: branzino, pollo, tacchino, stinco, ricciola, cotti a 36 gradi per 24 ore diventano degli omogeneizz­ati. Roba bollita. Solo lei l’attacca.

Ma se non mantieni neanche intatte le qualità organico-

lettiche! Basta con queste stronzate. Due cose che a tavola non sopporta.

Il sale in primis, è mortale.

Poi?

Toglierei qualche bicchiere dalla tavola. E dobbiamo piantarla con il credere che tutti i prodotti italiani siano delle primizie. Non è così.

No! Ero a Oslo per preparare un pranzo per il principe norvegese. Porto una marca di pasta italiana, una molto considerat­a; i proprietar­i ovviamente contenti. La cucino, la scolo, scivolava sulla bocca, sembrava un’anguilla

grassa: l’ho buttata tutta, 46 chili di prodotto. In questi anni si stanno scoprendo delle eccellenze dei territori. Anche in questo caso qualcosa non torna: ma dove stanno tutti questi maiali per realizzare tutti questi guanciali?

Il cliente dopo aver pagato ringrazia il ristorator­e: c’è quasi sudditanza. Perché in qualche modo è come tornare ai primi mesi di vita, quando la mamma ti allatta. Da lei i vip pagano?

Tutti. Offro solo per il mio compleanno, gli altri giorni no. Ci resteranno male.

Un giorno mi chiama un celebre conduttore: “V en g o con un paio di amici famosi, ci ospiti?”. Si è beccato una risposta pessima, non l’ho più visto... (ripensa a un discorso precedente) A me questi chef che trattano la cucina come una sala operatoria, con quelle pinzette, anche il bisturi per tagliare il cibo, mi mandano ai pazzi. Stanno distruggen­do la cucina. Fuori di testa.

Hanno sbroccato (il cameriere porta la frutta). Queste

stronze ( si riferisce alle don

ne) non vogliono sentire i semi e nei locali ci sono solo i clementini, non i mandarini: la sente la puzza dei farmaci? Basta portare la buccia vicino al naso. È la Vigilia. Quali saranno gli errori degli italiani a tavola? Sicurament­e sbaglieran­no i vini e qualcuno servirà lo champagne con il dolce. Un obbrobrio. E poi?

La tradizione non se la filerà nessuno, vorranno colpire gli ospiti con creazioni dolorose. Infine concludera­nno il pasto con frutta e dolce, una botta per stomaco e fegato: errore basilare. Meglio portare del formaggio.

La bòca l'è minga stràca se la sa nò de vàca.

Per lei la ristorazio­ne è...

La mia vita.

(E una vita più serena continua anche per camerieri e ristorator­i: il pranzo è terminato, Vissani saluta, l’incubo è finito. Auguri.)

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 ?? Foto Umberto Pizzi e LaPresse ?? Fuori dalla cucina Al centro, Gianfranco Vissani con Fulvio Pierangeli­ni e Pier Luigi Bersani; a destra, con Gianni Letta; in basso, insieme a Renzo Arbore
Foto Umberto Pizzi e LaPresse Fuori dalla cucina Al centro, Gianfranco Vissani con Fulvio Pierangeli­ni e Pier Luigi Bersani; a destra, con Gianni Letta; in basso, insieme a Renzo Arbore
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