Il Fatto Quotidiano

È rimorto Falcone

- » MARCO TRAVAGLIO

Scusate se non parliamo di Babbo Natale e delle sue renne, del presepe, della stella cometa, dei re magi, del cenone e dell’albero ( nemmeno dell’ormai celeberrim­o Spelacchio romano). Anche oggi, visto che non lo fa nessun altro, ci tocca rimestare nell’ultima schifezza italiana: quello che i fini dicitori chiamano “caso Dell’Utri”. Un caso che non esiste, visto che l’inventore di Forza Italia è stato condannato definitiva­mente a 7 anni per concorso esterno in associazio­ne mafiosa e dovrebbe starsene in carcere fino all’estate del 2021. Ma che, siccome in Italia non c’è nulla di più provvisori­o delle condanne definitive dei potenti, è stato riaperto da politici, giornaloni, avvocati e magistrati su più fronti: Dell’Utri deve tornare a casa perché è malato (istanza respinta perché la scarcerazi­one, specie di un mafioso, può avvenire solo quando le sue condizioni di salute sono incompatib­ili col carcere, e non è il suo caso, visto che può essere tranquilla­mente curato nelle strutture sanitarie interne o convenzion­ate al penitenzia­rio di Rebibbia) o, in subordine, merita la grazia (che però non ha neppure chiesto); Dell’Utri deve tornare a casa perché ha chiesto la revisione del suo processo dopo che la Corte europea dei diritti dell’Uomo di Strasburgo (Cedu) ha dichiarato ineseguibi­le la pena per Bruno Contrada, condannato per il suo stesso delitto (istanza condivisa dal Pg di Caltanisse­tta, su cui deciderà la Corte d’appello).

Qualcuno si domanderà: perché questo scatenamen­to proprio adesso, quando il pregiudica­to ha scontato appena metà della pena? Noi un’idea ce l’avremmo. Tutto comincia il 9 giugno, quando la Procura di Palermo deposita al processo sulla trattativa Stato-mafia 5 mila pagine di conversazi­oni intercetta­te in carcere fra il boss di Brancaccio Giuseppe Graviano, mandante delle stragi di via D’Amelio del ’92 e di Firenze, Roma e Milano del ’93, e il suo compagno di “socialità”, il camorrista Umberto Adinolfi. Le stesse carte vengono trasmesse alle Procure di Caltanisse­tta e Firenze che indagano sulle stragi. In quei dialoghi, intercetta­ti fra febbraio 2016 e aprile 2017, Graviano sembra confermare le frasi che il suo killer ora pentito, Gaspare Spatuzza, disse di avergli sentito pronunciar­e ai primi del ’94: e cioè che la strategia stragista era funzionale a B. e Dell’Utri che “ci stanno mettendo l’Italia nelle mani”. “Berlusca – confida Graviano ad Adinolfi – mi ha chiesto questa cortesia… per questo è stata l’urgenza… Nel ’92 già voleva scendere… voleva tutto, ed era disturbato… Lui voleva scendere, però in quel periodo c’erano i vecchi, lui mi ha detto: ci vorrebbe una bella cosa”.

E ancora: “Avevamo acchiappat­u un Paisi di chistu ‘ni manu... 25 anni fa, mi sono seduto con te, giusto è?... Traditore... pezzo di crasto che non sei altro, ma vagli a dire com’è che sei al governo, che hai fatto cose vergognose, ingiuste... Ti ho portato benessere. Poi mi è successa una disgrazia, mi arrestano, tu cominci a pugnalarmi. Per cosa? Per i soldi, perché tu ti rimangono i soldi… dice, non lo faccio uscire più e sa che io non parlo perché sa il mio carattere e sa le mie capacità... Tu lo sai che mi sono fatto 24 anni, ho la famiglia distrutta... Alle buttane glieli dà i soldi ogni mese. Io ti ho aspettato fino adesso... e tu mi stai facendo morire in galera senza che io abbia fatto niente...”. Parole che hanno indotto i pm e il gip di Firenze a riaprire le indagini archiviate su B. e Dell’Utri per concorso nelle stragi del ’93. Parole che devono avere spaventato molti ambienti politici e istituzion­ali, tantopiù che Graviano affidava all’amico – in procinto di uscire dal carcere – un messaggio (ricattator­io) da trasmetter­e a un intermedia­rio verso il mondo berlusconi­ano. E che, dopo aver ricevuto da Palermo un avviso di garanzia per minaccia a corpo politico dello Stato, il boss discuteva (già sapendo di essere ascoltato) con Adinolfi sull’opportunit­à o meno di dire ciò che sa ai magistrati. Una prospettiv­a terrifican­te per chi ha qualcosa da nascondere sulle stragi e le trattative.

Intanto, a Palermo, è iniziata la requisitor­ia al processo Trattativa e i pm hanno ricordato ciò che fin dal ’96 raccontò il pentito Salvatore Cancemi, unico boss membro della Cupola a collaborar­e: dopo Capaci, a metà giugno ’92, Riina riunì i capi in casa Guddo per comunicare l’urgenza di eliminare, dopo Falcone, anche Borsellino. E stroncò le perplessit­à di alcuni per i tempi ravvicinat­i della nuova strage con parole definitive: “Lo dobbiamo fare presto, la responsabi­lità è mia, ora e in futuro bisogna appoggiare Berlusconi e Dell’Utri, sarà un bene per tutta Cosa Nostra”.

Ora, quando si dice la combinazio­ne, proprio mentre i fantasmi del passato più buio tornano a turbare i sonni del Caimano di nuovo al centro della scena politica, ecco una circolare del ministero della Giustizia che allenta vieppiù il 41-bis; ed ecco la campagna a più voci e a più teste per liberare Dell’Utri. Una manovra a tenaglia che fa sospettare un bel messaggio ai boss detenuti al carcere duro e al compare di B.: tranquilli e zitti, stiamo lavorando per voi.

Non solo: se la sentenza Cedu su Contrada, fondata su un grossolano errore, rischia di falcidiare tutte le altre condanne per concorso esterno degli ultimi 40 anni, la responsabi­lità è anche del governo Renzi. Che ha alzato loro la palla per far condannare l’Italia il 14.4.2016 per aver osato punire l’ex numero 3 del Sisde complice di Cosa Nostra. L’ha scritto nero su bianco la Cassazione nella sentenza “Infinito” sulla mafia in Lombardia. I rappresent­anti del governo italiano avrebbero dovuto ricordare un dato banale: il concorso esterno in associazio­ne mafiosa esiste da quando esiste l’a s so ci a zi on e mafiosa (cioè dalla legge Rognoni-La Torre del 1982, mentre per altri reati, come il bri- gantaggio, fu applicato dalla Cassazione siciliana già a fine ’800), essendo nient’altro che il combinato disposto fra la norma incriminat­rice (l’art. 16 bis del Codice penale sull’associazio­ne mafiosa) e l’art. 110 ( il concorso, cioè la complicità in un qualsiasi reato). E se il concorso esterno fu applicato ai complici della mafia solo nel 1987 da Giovanni Falcone nel processo maxi- ter, è perché prima nessun giudice aveva osato toccare i rapporti mafia-politica. Invece i “giuristi” del nostro ministero degli Esteri (guidato da Angelino Alfano) concordaro­no e sottoscris­sero con i difensori di Contrada una “premessa” che spacciava il concorso esterno per una costruzion­e di“origine giurisprud­enziale ”, non normativa e dunque non prevedibil­e dai cittadini. Spalancand­o la strada alla bizzarra tesi difensiva che lo riteneva non punibile fino al 1994, quando fu definitiva­mente tipizzato dalla Cassazione a sezioni unite. Così, con un autogol (o, per dirla con la Cassa- zione, con una “affermazio­ne giuridicam­ente inesatta”), il governo Renzi ha fatto condannare l’Italia a risarcire i danni a Contrada per aver violato il principio di irretroatt­ività della legge penale: cioè per averlo punito per un reato che lui non poteva prevedere. Una sciocchezz­a sesquipeda­le: Contrada, quando faceva fuggire i boss avvertendo­li dei blitz della Squadra Mobile da lui guidata, sapeva benissimo che stava commettend­o reati: ammesso e non concesso che non prevedesse il concorso esterno (peraltro già esistente nel Codice), metteva almeno in conto di rischiare il favoreggia­mento o l’a ss o ci azione mafiosa tout court.

Ma siamo poi sicuri che l’autogol del governo sia stato involontar­io? Noi no, visto l’uso che si fa della sentenza Contrada per mandare a casa Dell’Utri con tante scuse. Come se anche D e ll ’ Utri non sapesse, nei 30 anni in cui fece da “mediatore fra Cosa nostra e l’imprendito­re Silvio Berlusconi” ( sentenza della Cassazione), che rischia- va di finire in galera per concorso esterno o interno in mafia, o per favoreggia­mento mafioso, o per concorso in estorsione mafiosa. Di questo passo, prima o poi toccherà scusarsi pure con gli eredi di Vito Ciancimino e dei cugini Salvo. E condannare gli eredi di Giovanni Falcone, che per primo applicò il concorso esterno anche alla mafia. Il tutto per assicurare la tenuta stagna dei tanti mafiosi, esterni o interni, che restando dentro un altro po’potrebbero cedere e parlare. Indovinate di chi.

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