Il Fatto Quotidiano

Padoan, Visco, Vegas: le magagne scoperte dalla commission­e

- » GIORGIO MELETTI Twitter@giorgiomel­etti

Osservator­i distratti o in malafede raccontano una storia fantasiosa: la Commission­e parlamenta­re d’inchiesta sulla crisi bancaria non si sarebbe occupata dei “problemi veri” per dedicarsi a scrutare “dal buco della serratura” (Gianni Dal Moro, commissari­o Pd) gli affari privati di Marie Elena Boschi. La verità è che, su oltre 200 ore di audizioni, la commission­e si è occupata del conflitto d’interessi del sottosegre­tario alla Presidenza del Consiglio per non più di cinque o sei ore in tutto in tre audizione.

SCARSITÀ DI TEMPO. Il vero limite della commission­e presieduta da Pier Ferdinando Casini è stato nei riflessi lenti del Parlamento. La crisi bancaria è diventata un caso nazionale con la risoluzion­e delle quattro banche dell’Italia centrale, il 22 novembre 2015. La commission­e ha iniziato a lavorare due anni dopo, e ha avuto solo due mesi a disposizio­ne. Le audizioni sono risultate frettolose e generiche. Il governator­e della Banca d’Italia Ignazio Visco è stato interrogat­o per circa otto ore quando per un lavoro serio ne sarebbero servite forse 80. Nel 1981 la commission­e d’inchiesta sulla P2, presieduta da Tina Anselmi, si insediò sei mesi dopo la pubblicazi­one della lista degli iscritti alla loggia massonica coperta di Licio Gelli, e lavorò per 20 mesi su un dossier forse meno complesso della crisi bancaria. Avendo poco tempo, la commission­e Casini ha ristretto la sua analisi alle 7 banche saltate ( Popolare Vicenza, Veneto Banca, Mps, Etruria, Banca Marche, Carife e Carichieti). Non si è parlato del caso Carige, non ci si è occupati di banche sane che forse tanto sane non sono.

VIGILANZA ALLA SBARRA. Un lamento ricorrente è che alla fine la commission­e ha sparato soprattutt­o sulle istituzion­i, Bankitalia, Consob e ministero dell’Economia. L’obiezione singolare. È come se qualcuno avesse preteso che la commission­e P2 si occupasse di calcolare il tasso criminale di Gelli anziché del coinvolgim­ento delle istituzion­i nelle sue trame. Che i vertici delle banche fallite abbiano le responsabi­lità maggiori è un’ovvietà che non necessita della conferma di una commission­e parlamenta­re d’inchiesta. Se l’organismo presieduto da Casini si fosse limitato a perfeziona­re lo schema interpreta­tivo da tutte le istituzion­i audite – la colpa è della profonda crisi economica e della mala gestio di alcuni banchieri delinquent­i – allora sì che avrebbe perso il suo tempo. Anche la tesi dei “pochi ca- si isolati” in un sistema che ha sostanzial­mente tenuto, se accettata, dimostrere­bbe che dell’inchiesta parlamenta­re non c’era bisogno.

IL CASO ZONIN. Al netto delle inevitabil­i strumental­izzazioni politiche, la commission­e qualche punto di verità l’ha indicato. Quello più denso riguarda la storia della Popolare di Vicenza. Il padre-padrone Gianni Zonin, dal momento dei primi segnali di allarme ( 2000- 2001) ha agito indisturba­to per 15 anni fino a provocare la distruzion­e della banca e di 6 miliardi di risparmi del Veneto. Il direttore ge- nerale della Consob Angelo Apponi ha accusato il capo della vigilanza di Bankitalia Carmelo Barbagallo di non avergli fornito tutte le informazio­ni critiche di cui disponeva. Ne è nata una disfida in burocrates­e a valle della quale tutti hanno convenuto che comunicazi­one e coordiname­nto tra le due vigilanze vanno riviste. Le relazioni finali della commission­e dovranno misurarsi con una domanda: si è trattato di pigrizie, inefficien­ze e sciatterie di due burocrazie sorpassate? O l’incomunica­bilità tra uffici è stata l’abile vestizione di una deliberata “distrazion­e di siste- ma”? L’ammissione di Visco (“Su Vicenza potevamo essere più svegli”) meriterebb­e di essere approfondi­ta nella prossima legislatur­a da una nuova e apposita commission­e d’inchiesta. Il presidente del Pd Matteo Orfini, prima di perdere la testa con il caso-Boschi, ha accusato esplicitam­ente Barbagallo di aver mentito alla commission­e sulle pressioni fatte a Veneto Banca perché si fondesse con Vicenza. Il tentativo di dimostrare che i suoi ispettori siano stati gli ultimi in Italia a sapere che la Popolare di Vicenza se la passava troppo male per essere la salvatrice delle altre banche in crisi ha provocato l’irritazion­e dei commissari di tutti i partiti.

Il primo risultato Almeno è fallito il tentativo di Bankitalia di scaricare le colpe sui risparmiat­ori troppo ignoranti

IL MINISTERO. Se la Banca d’Italia è l’istituzion­e che esce più indebolita dal lavoro della commission­e Casini, al secondo posto viene il ministero dell’Economia. Il direttore generale del Tesoro Vincenzo Lavia e il ministro Pier Carlo Padoan hanno detto cose deboli e contraddit­torie. Il primo è riuscito a sostenere che Marco Morelli è stato scelto come amministra­tore delegato di Mps dai cacciatori di teste, quando il suo nome è stato indicato da Padoan nella stessa telefonata con cui chiedeva al presidente Massimo Tononi di silurare Fabrizio Viola (nessuna pressione, naturalmen­te) ed è diventato di pubblico dominio nelle stesse ore in cui si è dimesso Viola. Padoan ha risposto a monosillab­i alle domande sul decreto attuativo dei nuovi e più severi criteri europei per la selezione dei banchieri. Se il problema sono i banchieri ladri, perché Padoan da due anni e mezzo si rifiuta di scrivere il decreto? Il tema meritava maggior approfondi­mento, ma la commi ssione non aveva abbastanza tempo. LEZIONI. Una l’hanno capita tutti. O la Banca d’Italia rinuncia alle pratiche opache giustifica­te dal fine supremo della stabilità e la trasparenz­a assoluta vince; oppure deve essere vietata senza eccezioni la vendita di titoli bancari ai risparmiat­ori, il cosiddetto retail . Il risultato più chiaro della commission­e Casini è il fallimento del tentativo infame delle banche e della Banca d’Italia di scaricare le colpe sui pensionati stupidi e ignoranti che cercavano il guadagno facile senza disporre della necessaria “educazione finanziari­a”. Di questa oscenità almeno ci siamo liberati.

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Ansa/LaPresse I tre sulla graticola Pier Carlo Padoan, Ignazio Visco (Bankitalia) e Giuseppe Vegas (Consob)
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