Il Fatto Quotidiano

Signori, la legislatur­a chiude: tanti saluti a vitalizi e Ius soli

Approvata la manovra, in Senato manca subito il numero legale: l’ultima seduta finisce così

- » LUCA DE CAROLIS

Tutti a casa e addio a tante leggi promesse o temute. Ma il problema è che ieri in parecchi a casetta ci erano già tornati, un po’per calcolo politico, un po’ per le feste alle porte. Così niente numero legale in Senato, e tanti saluti anche e soprattutt­o allo ius soli. Nella pre-vigilia di Natale, Palazzo Madama approva la manovra, come previsto. Poi però chiude la legislatur­a con il finale più sciatto, come una scuola spopolata. E con il Pd che sbatte innanzitut­to contro se stesso. Perché ha provato a presentare la legge, ma i vuoti erano anche tra i suoi banchi. Così ecco la figuraccia, lo sdegno e le recriminaz­ioni, con l’Unic ef che p a r l a d i “pagina incivile” e la sinistra che infierisce con Miguel Gotor: “Noi di Liberi e Uguali c’eravamo, ai dem mancavano una trentina di voti”.

C’è anche chi ghigna di piacere, come il leghista Roberto Calderoli. È stato lui ieri a sollevare la pregiudizi­ale di costuziona­lità sul disegno di legge e a chiedere poi la verifica del numero legale. E rivendica: “In questi due anni e mezzo, con le mie decine di migliaia di emendament­i, ho bloccato questa assurda e inutile proposta”. E infine c’è chi tace: il M5S. Assenti in blocco ieri, i 5Stelle avevano già annunciato l’astensione come fatto alla Camera, che in Senato però equivale a un voto contrario. Eppure nel giugno 2013 proprio il M5S aveva presentato un disegno di legge sul tema, che tra i suoi firmatari aveva anche il candidato premier Luigi Di Maio. Ma il tempo passa e la voglia di succhiare voti alla Lega cresce.

Così ecco il trapasso dello ius soli, nel Senato dove è stata fissata una nuova seduta il 9 gennaio, con all’ordine del giorno “comunicazi­oni del presidente”. Però la legislatur­a finirà poco prima della fine dell’anno: troppo presto per trasformar­e in legge il ddl approvato alla Camera nell’ottobre 2015, tecnicamen­te uno “ius soli temperato”, che prevedeva la possibilit­à di ottenere la cittadinan­za per chiunque fosse nato in Italia da genitori stranieri, di cui almeno uno in possesso del permesso di soggiorno Ue per soggiornan­ti di lungo periodo, o avesse frequentat­o un ciclo scolastico in Italia anche se nato all’este- ro. Ma il Pd sapeva di non avere i numeri a Palazzo Madama. E così Matteo Renzi ha galleggiat­o per mesi alternando promesse ad accuse agli altri partiti, mentre pure il ministro dell’Interno Marco Minniti lo pungolava sulla necessità di approvare il testo. Così ha prevalso il pragmatism­o del premier Paolo Gentiloni. Perché il mantra era che non si poteva rischiare un voto di fiducia, l’unica via per provarci, prima di far passare la legge di Bilancio. Ma nei tempi s up pl em en ta ri di ieri non c’era proprio la voglia.

Gli intoccabil­i vitalizi

Stesso problema, la mancanza di numeri, e stesso finale, farsesco. Come per lo ius soli, il Pd in Senato non aveva abbastanza bandierine per approvare il ddl Richetti, che voleva estendere ai parlamenta­ri e ai consiglier­i regionali il trattament­o previdenzi­ale previsto per i comuni cittadini, con assegni calcolati col sistema contributi­vo ed erogati agli ex eletti solo dai 65 anni in poi. Anzi, per i vi- talizi la situazione era perfino peggiore, perché erano gli stessi dem ad essere spaccati. E i senatori di LeU si sarebbero astenuti. Così l’Aula non ha neppure discusso del disegno di legge approvato alla Camera in luglio. E non se ne è fatto nulla perfino in Consiglio di presidenza, dove i dem prometteva­no di fare passare almeno una delibera uguale alla cosiddetta “Sereni”, approvata a marzo a Montecitor­io e che prevede un contributo di solidariet­à trien- nale per i vecchi assegni dai 70 mila euro in su. Venerdì sera in ufficio di presidenza ha prevalso la linea di Antonio De Poli (ex Udc, ora in Gal) che ha chiesto di aspettare l’esito dei ricorsi presentati contro la delibera al tribunale interno di Montecitor­io. Tradotto: palla in tribuna, anche per timore delle richieste di danni degli ex parlamenta­ri. E a nulla è valso il voto contrario di M5S e Lega.

Giudici, quei ruoli che non verranno riempiti

Ieri Palazzo Madama non ha trovato la quadra neppure sull’elezione dei giudici per i Consigli di presidenza della giustizia amministra­tiva, della Corte dei Conti e della giustizia tributaria (due per organo). Tre votazioni a scrutinio segreto non sono bastate per arrivare al quorum della maggioranz­a assoluta. Ma va ricordato che la legislatur­a si chiude anche con un “buco” nella Corte costituzio­nale: è passato ormai oltre un anno dalle dimissioni del giudice Giuseppe Frigo e, nonostante sette convocazio­ni in seduta comune, il Parlamento non ha eletto un sostituto. E così la Consulta rimarrà senza plenum almeno fino alla primavera.

Tempo scaduto Restano intonsi gli appannaggi, alla Consulta manca un giudice e ai minori stranieri la legge

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