L’immigrazione vista con gli occhi di Vauro
Tre storie che si consumano e si sono consumate tra Sudan, Kabul e Baghdad
UN BAMBINO, Kualid, che “tornava in casa soltanto quando aveva il braccio indolenzito a forza di tirare sassi e le palpebre di nuovo appesantite dal sonno”. Ha dieci anni, osserva Kabul nella notte e con lei la luna la cui luce disegna la forma di un serpente sulle pareti della sua stanza. Kualid è un bimbo sveglio, vispo, ma inquieto per via di un’angoscia che lo accompagna da tempo.
UN GIOVANE UOMO, sospeso in una Baghdad senza tempo, cammina per le strade deserte. A un certo punto afferra un bastone e improvvisamente uno stormo di piccioni spunta dal nulla, dal cielo, e comincia a danzare attorno a lui, al ritmo di una musica che, in realtà, non esiste.
LA SERENITÀ DEL NATALE, in un grande magazzino, è infranta da Madut, ragazzo del Sudan, che emerge da un enorme costume rosso di Babbo Natale. Madut è scappato dalla sua terra in fiamme per arrivare fino a Roma e guadagnarsi il suo spa- zio fatto di tranquilla quotidianità in una lavanderia a gettoni.
Tre storie per raccontare uno dei temi più controversi degli ultimi anni, quello d el l’im mi gr az io ne . Un romanzo per capire cosa spinga, spesso, a scappare dalla miseria e dalla guerra, diretti il più delle volte, verso l’ignoto. Tre storie che mescolano sentimenti felici, emozioni, dolore e, talvolta, anche rassegnazione.