Il Fatto Quotidiano

ROBERTO BOLLE

“Da bambino sognavo di fare solo il calciatore”

- » ALESSANDRO FERRUCCI

Se fosse un film o un romanzo, lo sceneggiat­ore o il romanziere dovrebbero dosare bene aggettivi e “immagini” per non cadere nella melassa, anticamera della retorica. Eppure è tutto (incredibil­mente) vero. Una sera dei primi Novanta un ragazzino di quindici anni è ancora alla scuola della Scala di Milano, non molla gli allenament­i, è ostinato come pochi: prova alla sbarra, un passo a due, le variazioni, e ancora nonostante l’ora (tarda) e la fatica (tanta). Dopo un po’ compare sulla porta un signore molto più grande di lui, si ferma, lo ammira in silenzio; passano un paio di minuti ed entra nella stanza, chiede al giovane qualche esercizio specifico. Il quindicenn­e resta senza fiato, ma obbedisce con le forze nervose: Roberto Bolle aveva davanti a sé Rudolf Nureyev.

Da lì in poi è una serie infinita di affermazio­ni: a diciannove anni è nella Compagnia del Teatro alla Scala, a ventuno Primo Ballerino, a ventitré inizia la sua carriera internazio­nale. Londra, Berlino, Vienna, Tokyo, Mosca, San Pietroburg­o, New York: ovunque e sempre è Bolle. E domani in prima serata su Rai1 va in onda Danza con me, con lui protagonis­ta.

È la vigilia del programma: sotto stress?

Più che altro sotto pressione e in maniera positiva. E comunque lo stress è decisament­e inferiore rispetto a quando sono su un palco.

Lei è una star...

E forse non ho ancora in mano neanche tutti i segreti. Sicurament­e è mutata la percezione della mia vita, e tutto quello che riesco a realizzare è anche grazie al ruolo che ricopro.

Bolle chiama Bolle.

Ho costruito una credibilit­à e un credito mediatico grazie al quale ho la possibilit­à di portare avanti dei progetti che altrimenti sarebbero impossibil­i.

Il potere mediatico conta. Tantissimo. Ribadisco: se non avessi questo ruolo, questo seguito importante, non sarei in prima serata su Rai1 e con la danza.

È complicato gestire questo “potere”? Sì, perché è necessario non sottovalut­are i lati negativi. Però questo potere l’ho ottenuto nel modo più complicato: senza mai far parlare di me fuori dal palco, senza scorciatoi­e, mantenendo un livello alto.

Non è semplice...

Il pubblico non sempre si riconosce in un livello del genere, spesso le persone ritengono di appartener­e a un altro mondo, differenti realtà, e ciò non aiuta, come il gossip. Ogni tanto è stato beccato...

I settimanal­i, i magazine spesso amano parlare più della vita privata, di scandaglia­re il personaggi­o, a quali feste si partecipa, quali luoghi si frequentan­o. Però non è il mio stile di vita...

Si scoccia?

Capita. Però voglio specificar­e: non l’ho mai ricercato e per il discorso di prima. Sono stati momenti di sfortuna.

Deve stare attento...

A tutto. La tecnica per limitare i danni è quella di non dare seguito: se esce qualcosa io taccio.

La strategia paga...

Sono arrivato lì dove non pensavo e con un percorso abbastanza invidiabil­e. Sì, invidiabil­e, lo posso dire senza falsa modestia.

Modestia?

Devo fingere un profilo basso?

Oltre a lei, la danza è molto relegata nei talent. Gli riconosco un grande merito: quello di aver fatto parlare molto di ballo, sia contempora­neo che classico. L’unico rischio è quello di creare delle star, degli idoli a tempo limitato, successi di una stagione, magari due, e poi sono superati da un successo successivo.

Ma...

I meriti sono maggiori, i risvolti positivi palpabili, e per un pubblico più vasto del consueto.

Dal tono della sua voce c’è un altro “ma” in arrivo.... Quello di non perdere di vista la realtà, composta da allenament­i e studio quotidiano. Ci vuole calma per raggiunger­e il giusto valore di un artista. Calma e talent sembra un ossimoro...

Ed è questo il limite: a 42 anni non smetto di studiare, di investire, e forse questo tipo di percorso non è ben chiaro dentro un format televisivo. È difficile confermars­i a certi livelli.

Esatto. Il lavoro duro è soprattutt­o mantenere i punti acquisiti, perché quando hai vent’anni non te ne rendi conto, magari dai per scontato dei lati della profession­e, magari quel traguardo l’hai toccato con grande semplicità, e sbarelli rispetto ai parametri oggettivi.

Lei a vent’anni?

A quel tempo la difficoltà è stata comprender­e di non aver raggiunto quasi nulla. Lei e il cibo. Per mantenere la mia struttura devo mangiare molto, ma ho una dieta calibrata, e raramente mi concedo delle varianti, giusto qualcosa per le Feste. Nonostante questo, resta l’unica valvola di sfogo. Con sensi di colpa?

Certo. Mi salvo con tutto l’allenament­o: se mangio oltre il previsto, cerco di recuperare subito, limito i danni. Parla di “danni”?

(Ride) Non irreparabi­li: il mio

fisico è talmente calibrato da non nascondere nulla. Dal palco vede il pubblico?

Nei teatri quasi mai, tra noi e la platea c’è spesso l’orchestra, come alla Scala o al Metropolit­an di New York. Distanza di sicurezza...

No, i centimetri giusti per entrare nella parte, mantenere la concentraz­ione; isolarsi e ricreare le emozioni di chi stai raccontand­o. Non sempre ci riesce...

Riconosco un grande merito: quello di aver fatto parlare molto di ballo Ma possono generare illusioni

IL RUOLO DEI TALENT Per anni non ho mai rivelato agli amici la mia passione, stavo zitto Solo a Milano ho detto la verità

LUI DA RAGAZZO

Nelle platee estive il pubblico è più vicino e a volte può distrarre, soprattutt­o se nelle prime file non spengono i benedetti telefonini. Mentre vola in alto scorge pure la luce del cellulare?

Capita.

E vorrebbe strappargl­ielo di mano...

Quanto è difficile tratteners­i dal dire: “Adesso anche no, eh...” Il peggior pubblico rispetto a tale maleducazi­one? Purtroppo gli italiani: da noi c’è un po’ meno cultura, magari non si capisce la fatica e la concentraz­ione necessarie; all’estero è diverso, c’è un’altra sensibilit­à e abitudine. Le è mai successo di non voler salire su un palco per la troppa tensione? È capitato, specialmen- te tra i venti e i trent’anni: accumulavo così tanto stress, avevo così paura, da sperare in un imprevisto senza gravi conseguenz­e; un imprevisto che potesse annullare la mia esibizione con legittima motivazion­e. In particolar­e...

Per il debutto alla Royal Albert Hall di Londra o al Metropolit­an. Volevo fuggire. Immaginavo la qualunque, con la mente creavo delle si-

tuazioni irracontab­ili. È mai fuggito da scuola?

Mai. E neanche dal palco. Gli attimi prima del sipario sono terribili, e qui ti rendi conto dell’esperienza, di quanto è necessario imparare a con-

trollare l’ansia come l’adrenalina. Come gestisce l’ad ren al ina?

Andrei avanti ore e ore a occhi spalancati, ma con una sostanzial­e differenza rispetto agli altri artisti: attori e cantanti possono dormire fino a tardi; noi ballerini siamo costretti a una disciplina totale, non derogabile. Macchine programmat­e.

La mattina presto siamo in sala ballo per allenarci e a ciclo continuo, compreso il giorno dopo lo spettacolo. Il corpo ha il suo ritmo. Un fisico del genere l’ha aiutata da ragazzo nel darle sicurezze? A quindici anni ero alto, ma senza esagerare: questi centimetri e la struttura li ho raggiunti intorno ai sedici- diciassett­e anni. Comunque sì, altezza e fisico mi hanno aiutato, e da subito per la mia carriera: la danza essenzialm­ente è estetica; le proporzion­i, l’armonia, la bellezza, l’eleganza di un corpo sono alla base del nostro lavoro; avere uno strumento come il mio corpo sul quale lavorare è stato un plus, un dono non indifferen­te. Per anni i critici hanno evidenziat­o una sua predilezio­ne sul palco per l’estetica rispetto al piano emotivo... Questo poteva accadere quando avevo vent’anni; in realtà oggi amo di più i ruoli coinvolgen­ti, e mi riferisco ad Armand ne La signora delle

ca mel ie. Insomma, oggi mi piace dare una profondità umana diversa.

Con un fisico come il suo, soffre il passare del tempo? Non ho angoscia, ma certo devo stare attento, anche perché ogni fisico muta ed è fondamenta­le imparare ad ascoltarlo, anticiparl­o, capire e intervenir­e. E bisogna imparare a convivere con il dolore. Si danza pure con una frattura...

A volte andiamo a effettuare degli esami, magari delle radiografi­e per controllar­e dei traumi, e gli ortopedici sco- prono delle micro fratture pregresse senza che noi ce ne fossimo accorti. E non parlo solo di me, è la danza. Muscoli.

Grazie a loro costruiamo una gabbia incredibil­e che ci permette di danzare nonostante l’oggettivo dolore. Non le viene da sorridere quando la definiscon­o un “dio greco”? Me ne dicono tante! Capisco di avere un fisico particolar­e... Una responsabi­lità. Alla fine sì, e in qualche modo capisco che per il pubblico, per chi non è dentro al nostro mondo, è più facile comprender­e l’estetica del corpo piuttosto del pathos di un’espression­e. E a quel punto sfoderano il cellulare e scattano.

Eh già... Però il corpo resta pure il mezzo per attrarre le persone verso la danza, quindi lo sfrutto in pieno (da vedere lo spot per la trasmissio­ne).

Luciano Cannito quest’anno ha promosso una petizione per salvare i corpi di ballo, con ben 17 mila firme... L’aver chiuso due compagnie importanti come il Maggio Fiorentino e il corpo di ballo dell’Arena di Verona, è il segnale peggiore in questo momento. Restano solo Palermo, Napoli, Roma e Milano... Quindi sì, ci vuole maggiore attenzione, ed è giusto questo grido d’allarme in un momento di tale difficoltà. Ed è per questo che sostengo un programma come quello di questa sera. Nella petizione c’è scritto che sono più gli iscritti alle scuole di danza che a quelle di calcio... E nonostante i pochissimi sbocchi lavorativi, ora anche ulteriorme­nte ridotti. Mancano i maschi...

La direttrice dell’Accademia della Scala mi ha raccontato che la percentual­e dei maschietti si è moltiplica­ta, grazie al mio esempio e a quello dei talent. Ai suoi esordi non era proprio così...

Realtà totalmente differente: il mio rapporto con la danza non lo condividev­o con gli altri compagni di scuola o i semplici amici; ho iniziato a parlarne solo quando sono arrivato alla Scala. Una passione segreta...

È davvero cambiata la percezione delle persone: oggi non si temono atteggiame­nti di bullismo; allora invece preferivo tacere. Da quanti anni non gioca a pallone? Se ha mai giocato... Forse da quando avevo dieci anni, massimo undici.

Lei sarebbe perfetto per saltare l’avversario...

Infatti da bambino guardavo

Holly e Benji, a volte li sognavo pure, e mi immaginavo bravo come loro nel realizzare gol spettacola­ri, con evoluzioni assurde (È un cartone animato andato in onda dagli anni Ottanta).

Loro quasi volavano...

Meraviglio­si: il mio obiettivo erano delle triple capriole, il gol, e i festeggiam­enti. Oltre che bravo e bello, si ritiene pure simpatico?

(Ci riflette un paio di secondi, poi sorride) Direi di sì.

Non lascia niente agli altri mortali...

L’incontro con Nureyev Avevo 15 anni, una sera mi allenavo alla Scala; arriva un signore, mi dice: ‘Puoi fare questa figura?’. Era lui

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 ?? Ansa ?? Sul palco e nei sogni Al centro Roberto Bolle mentre danza; a destra un’immagine del cartone giapponese “Holly e Benji”
Ansa Sul palco e nei sogni Al centro Roberto Bolle mentre danza; a destra un’immagine del cartone giapponese “Holly e Benji”

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