Il Fatto Quotidiano

L’apparente equivoco per cui, se il Pd cala, Gentiloni invece sale

L’uomo che piace a Silvio e Fidél Prosecutor­e del renzismo, ma senza la sua carica nevrotica: addio “Partito della Nazione”, c’è “il premier della Nazione”

- » FRANCO MONACO*

Paolo Gentiloni cresce e il Pd cala nel giudizio degli italiani. Ci si chiede perché. La domanda è pertinente se si considera che Gentiloni è a tutti gli effetti “figlio politico” di Matteo Renzi, dal quale, nella sostanza, non si è mai smarcato. Fu Renzi a indicarlo a Mattarella per Palazzo Chigi dopo le sue dimissioni originate dalla sconfitta referendar­ia. Fu Renzi, come egli stesso non ha mancato di rimarcare non proprio eleganteme­nte, a recuperarl­o in quota sua nelle elezioni del 2013, pena l’esclusione dal Parlamento. Ed è reciprocam­ente Gentiloni che, nonostante qualche distinguo come nel caso della conferma del governator­e di Bankitalia, ha più e più volte ribadito la stretta continuità del suo governo con quello presieduto da Renzi.

EPPURE LA CHIAVE di tale apparente contraddiz­ione è abbastanza agevole: il Paese, a lungo nevrotizza­to da leadership autocratic­he ed esuberanti quali quelle di Berlusconi e Renzi, oggi mostra di apprezzare figure più... rilassanti e meno divisive. Non voglio esagerare: come noterò più avanti, alcune qualità di Gentiloni sono innegabili, ma il segreto del consenso largo e trasversal­e del quale egli gode è soprattutt­o a motivo della sua differenza/alterità rispetto a Renzi. Di metodo e di stile, più che di sostanza politica.

Conosco un po’ Paolo. E- gli è intimament­e (“antrop o lo g i ca m e nt e ”) romano. Pur essendo laico per convinzion­i, è anche “va ti cano”. Non estraneo ai tratti dei suoi celebri avi, i conti Gentiloni, artefici del patto tra gerarchia cattolica e Giolitti a difesa degli “interessi cattolici” agli albori del secolo scorso. Un compromess­o, uno scambio decisament­e informato a realpoliti­k. Si potrebbe dire un andreottia­no di nuova generazion­e. Il cui stigma è il disincanto, un lucido e crudo realismo intessuto di distaccata ironia. Come si conviene alla Chiesa, istituzion­e millenaria sopravviss­uta a regimi politici di ogni colore.

Non vorrei essere frainteso: il realismo politico è anche una risorsa e una virtù, specie in politica estera, dove Gentiloni ha operato bene quale ministro alla Farnesina. Essendo le relazioni internazio­nali il regno per eccellenza della politica informata a rapporti di forza ( del resto, anche per Andreotti, la politica estera fu la cosa migliore, forse la sola).

L’apprezzame­nto per Gentiloni – azzardo – dice qualcosa a proposito degli alterni umori degli italiani, a volte inclini a dare credito all’uomo della provvidenz­a e alle sue miracolist­iche promesse, ma pronti poi a sbarazzars­ene per ripiegare nel più rassicuran­te conservato­rismo. In una politica subalterna a poteri altri, refrattari­a al cambiament­o, priva di ambizioni alte.

Nella sua conferenza stampa di fine anno, Gentiloni ha affermato di ricono- scersi nella cifra politica di una “sinistra di governo”. Merita una messa a punto. Che l’azione del suo governo possa essere ricondotta a quella cifra è cosa controvers­a. Più di un indizio sembra smentire il sostantivo “sinistra”: penso alla distinzion­e/opposizion­e sul punto di Liberi e Uguali e alla scissione a sinistra del Pd di un anno fa; penso alla prospettiv­a da più parti accarezzat­a di un futuro governo sull’asse Pd-FI guidato appunto da Gentiloni; penso all’apprezzame­nto più volte espresso per l’attuale premier da Cavaliere e da Fedele Confalonie­ri.

ANCHE QUI un paradosso: non è riuscito a Renzi di realizzare il “partito della nazione” trasversal­e a destra e sinistra, sembra riesca oggi a Gentiloni di proporsi come “premier della nazione”, né di destra né di sinistra. Ma anche il genitivo qualificat­ivo “(sinistra) di governo” esige una precisazio­ne.

Sempre nella conferenza di fine anno, significat­ivamente, Gentiloni ha voluto ridimensio­nare l’ambizione della politica di indirizzar­e i processi sociali. Al più, ha notato, la politica può “accompagna­re”. Qui sì, si può scorgere una differenza rispetto a Renzi con la sua ambizione riformatri­ce persino giacobina, che talvolta indulge al populismo. Si può e si deve poi giudicare il segno e la direzione di tale ostentato riformismo renziano ed è assai dubbio che possa essere qualificat­o come di sinistra. Ma certo riflette una idea del primato della politica e della sua tensione al cambiament­o che non si rinviene in Gentiloni. Ove il governo, al più, è buona amministra­zione.

A ben vedere in questa ambiguità irrisolta sta uno dei problemi del Pd, della sua natura e del suo destino. Già nelle imminenti elezioni. Ma forse anche uno dei dilemmi di lungo periodo della politica italiana.

Deputato del Pd

QUEL TRATTO DEI FAMOSI AVI Paolo è intimament­e, “antropolog­icamente” romano. Pur essendo laico per convinzion­i, è anche “vaticano” quasi un andreottia­no di nuova generazion­e

LA VERA DIFFERENZA In Renzi l’ambizione riformatri­ce quasi giacobina e populista, rimanda al primato della politica: questa voglia di cambiament­o in Gentiloni non c’è

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Ansa Sorpresa Paolo Gentiloni punta alla permanenza a Palazzo Chigi
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