Da “radicale” a “mozzarella”: tutte le parole sotto sequestro
Partiti e mozzarelle. Nelle stesse ore in cui Travaglio veniva sgridato per un presunto uso inappropriato dell’espressione “sciolta nell’ acido ”- in relazione alla XVII legislatura- c’ era chi litigava sull’immagine di un fiore in un logo partitico (la Margherita) e chi si scornava sulla dizione di una mozzarella Dop (i bufalari campani contro ivaccinari pugliesi). L’Italia di oggi, in cui dilaga lo sgarbismo televisivo, appare in ricerca permanente di elementi divisivi. In realtà, come ricorda sempre il linguista Pietro Trifone, “la faziosità nasce dalle ataviche divisioni del Bel Paese” e proprio la lingua “è stata un formidabile fattore unificante, ma porta ancora in sé, inevitabilmente, i segni di quelle divisioni ”. Di qui il fiorire quotidiano di liti anche immotivate e strumentali su loghi e marchi, ovviamente, ma anche sull’uso della singola parola ed espressione.
A me capitò che un illustre meridionalista come Leonardo Sacco, negli anni Novanta, tentasse di impedire al quotidiano che fondai e diressi in Basilicata, La Nuova Basilicata, di usare il nome “Basilicata”. Se ne riteneva titolare unico, avendo per decenni diretto la rivista Basilicata. Se ricordo bene, fece un formale ricorso alla magistratura, che ovviamente archiviò.
Per decenni Pannella e i suoi hanno condotto una pervicace, utopistica battaglia per impedire a tutti di usare la parola “radicale”. Il buon Bordin, facendo la rassegna stampa di Radio Radicale, si fermava ogniqualvolta incontrava quel termine per polemizzare, bofonchiare, ironizzare e qualche volta arrabbiarsi sul serio. Alla fine Pannella e pannelliani dovettero cedere le armi, di fronte all’uso massivo e mondiale di quella parola. Ma a Bordin tuttora sfugge qualche commento sdegnato, se non sprezzante contro cronisti e opinionisti che non ricorrano a sinonimi quali: risolutivo, definitivo, estremo, estremista, massimalista…