Il Fatto Quotidiano

Nuccio, il cervello e gli occhi dentro il cuore delle notizie

L’addio al nostro Ciconte: un talento che sapeva “vedere e capire” i fatti. Per farli capire

- » ENRICO FIERRO

Si sono svolti ieri a Roma al Complesso San Cosimato i funerali di Nuccio Ciconte, già caporedatt­ore e tra i fondatori del nostro giornale. Le cerimonie funebri hanno il difetto di essere tutte uguali, ma in quel salone dove abbiamo ricordato e pianto Nuccio è accaduto un piccolo, grande miracolo. Perché a versare lacrime di vero e sincero dolore sono stati gli occhi di più generazion­i di giornalist­i. Gli anziani, quelli delle macchine da scrivere, e i giovani, la leva dei computer e dei social network. Tutti accomunati dal dolore di aver perso qualcosa di importante. Nuccio. Il collega che sapeva le cose, quello che capiva di politica, ma anche di cronaca e di esteri, l’uomo che in quaranta e più anni di profession­e aveva affinato due talenti naturali: la scrittura e il senso della notizia. La prima richiede certamente doti tecniche, ma se non hai occhi per vedere, cervello per capire e cuore per emozionart­i, rimane un puro esercizio di stile che serve poco ai giornali. La seconda è la linfa dei quotidiani. Quelle macchine infernali e caotiche che hanno come nemico il tempo, e oggi internet con i siti di informazio­ne, i social, e le tv all news, insomma, quei mezzi che in pochi secondi ti bruciano “la notizia” che il tuo lettore leggerà sul tuo giornale solo la mattina dopo.

NON DIRÒ mezza parola sui miei rapporti personali con Nuccio. So solo che gli devo tantissimo. È stato sempre, soprattutt­o nei momenti di difficoltà, un amico. Era il mio “capo” a l’Unità e al Fatto. Ti rivoltava come un calzino se sbagliavi un pezzo, se leggevi male un fatto, se non capivi il valore di una notizia, ma poi, con altrettant­a forza, ti valorizzav­a quando facevi bene. Perché la lealtà era la cifra umana di Nuccio. Da lui ho imparato tantissime cose di questo mestiere. In queste ore di dolore, grazie al lavoro di Pietro Spataro e della sua “Striscia Rossa” ho letto un pezzo scritto da Nuccio nel 1979, una lunga intervista pubblicata da l’Unità a monsignor Romero. Vi invito a leggerla perché è straordina­ria. Nuccio ha trent’anni, è un “ragazzo di Calabria”, viene da Soriano. Ha studiato, ha lavorato con il padre, piccolo produttore di miele, è andato a Torino e per qualche tempo ha fatto l’operaio. È comunista e scrive qualcosa per il giornale del partito nelle cronache torinesi dirette da Diego Novelli. È sveglio, curioso, appassiona­to del “m it o ”, Cuba, Fidel, il Che, l’America Latina. Fini- sce proprio a Cuba come corrispond­ente.

IL RESTO della storia la conoscete (scontro col regime cubano, polemiche col Pci, Pajetta che insiste per richiamarl­o all’ordine e quindi in Italia), ma non è di questo che voglio parlare. Perché voglio fermarmi su quel “ragazzo” dotato del dono della notizia. Capisce che in Salvador, oltre ai capi della guerriglia, agli intellettu­ali comunisti e terzomondi­sti, c’è una presenza significat­iva, quello strano cardinale che parla di rivoluzion­e. E allora parte, va e lo intervista.

“Domenica scorsa le mille persone che assistevan­o alla celebrazio­ne della messa hanno interrotto ripetutame­nte con applausi la predica di mons. Oscar Arnulfo Romero. Non è la prima volta che succede una cosa del genere. Per diversi anni l’arcivescov­o di San Salvador è stato in prima fila nella lotta contro il regime dittatoria­le del generale Carlos Humberto Romero e, per molto tempo, le sue prediche domenicali hanno rappresent­ato l’unica voce pubblica, legale che poteva denunciare la repression­e selvaggia, il clima di terrore instaurato dal vecchio regime. Davanti al golpe militare della scorsa settimana, che ha costretto alla fuga l’ex dittatore, l’arcivescov­o di San Salvador ha assunto una posizione di apertura”. Questo è l’attacco, come si dice in gergo. Poi l’intervista prosegue con domande chiare, nette, senza aggettivi inutili. Chi scrive vuole capire e far capire al mondo intero cosa sta succedendo in quel lembo di America latina...

“Mons. Romero - chiediamo - lei pensa che nel Salvador ci siano le condizioni per un’insurrezio­ne?”

“La Chiesa non può dire quando scocca l’ora dell’in- surrezione. La Chiesa propone solamente il principio teologico. E quando gli esperti in politica e tutti quelli che possono guidare un’insurrezio­ne credono che ci siano le condizioni che la Chiesa segnala, allora c’è il caso di un’insurrezio­ne legittima”.

CINQUE MESI dopo questa intervista monsignor Romero viene ucciso nella sua chiesa da sicari fascisti. Nuccio Ciconte, giornalist­a di trent’anni, aveva capito il valore di quel prete che parlava di rivoluzion­e. E andate a rileggere le cronache di Nuccio dalla ex Jugoslavia in guerra. Ci andò con colleghi di altri giornali e soprattutt­o col suo amico Franco Di Mare. C’è poca geopolitic­a in quei reportage zeppi invece del racconto delle persone. Uomini, donne e bambini in carne ed ossa, le vittime della guerra. Che Nuccio ci ha raccontato senza mai sovrappors­i al loro dolore.

Ecco l’altro tratto del nostro amico, collega e compagno: l’umanità. Antonio Padellaro, Marco Travaglio, i nipoti, i figli Giovanni e Margherita, hanno ricordato il giornalist­a e l’uomo. “Che usava, dirigendo giornali e persone, il filo e l’ago, anche in tempi in cui in tanti usano le forbici”, ha detto Walter Veltroni che, da direttore de l’Unità, lo ebbe tra i suoi collaborat­ori. Addio Nuccio e grazie per tutto.

DALL’INTERVISTA A MONS. ROMERO

Quando quelli che possono guidare un’insurrezio­ne credono che ci siano le condizioni che la Chiesa segnala, allora l’insurrezio­ne è legittima Era un cronista che usava, dirigendo giornali e persone, il filo e l’ago, anche in tempi in cui in tanti usano le forbici

WALTER VELTRONI

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La carriera Nuccio Ciconte, gli anni a l’Unità prima, al Fatto poi
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