Il Fatto Quotidiano

Imprese, tabacchi, banche: i mille aiutini del governo Renzi

Nel 2013 accusava Letta: “Basta marchette”. Poi quando è arrivato lui favori e leggi dettate si sono moltiplica­ti

- CDF

Sembra passata una vita da quando Matteo Renzi, fresco segretario del Pd, lanciava contumelie a Enrico Letta: “Se fa, va avanti. Certo, se si fanno marchette e assalti alla diligenza non va bene”, spiegava a fine 2013, mentre il fedele Dario Nardella pubblicava la lista delle mance nel “milleproro­ghe”. Poi è toccato a lui. Renzi non lo ammetterà mai, ma la polemica sui sacchetti bio resi obbligator­i per la gioia dell’ambiente e di un’eccellenza industrial­e italiana è alimentata, per così dire, da quella prassi disinvolta inaugurata dal suo governo di far felici grandi e piccole imprese – anche facendosi testimonia­l – società amiche, o di elargire soldi a pioggia a singoli settori in vista delle urne.

PREND IAMO le norme taglia-risarcimen­ti per i macro danni causati dagli incidenti stradali care all’Ania, l’associazio­ne delle assicurazi­oni. Letta aveva provato a infilarle nel decreto “Destinazio­ne Italia” di fine 2013 e fu poi costretto a ritirarle sotto il fuoco di fila dei renziani (“sono marchette”). Oggi sappiamo dalle intercetta­zioni sfuggite per errore alla Procura di Torino nell’ambito del processo Fonsai, che in quei giorni i manager di Unipol facevano consegnare preziosi emendament­i a diversi deputati dem renzianiss­imi. Arrivato Renzi a Palazzo Chigi le norme sono ricomparse nel ddl Concorrenz­a. Quest’ultima, per dire, è la legge con cui sono stati consegnati, dal 2019, 24 milioni di utenti al mercato libero dell’energia per la gioia di Enel e delle grandi società del settore (“la Ducati Energia, azienda bolognese che appartiene alla famiglia del ministro Guidi, è fornitrice dell’Enel”, tuonò il senatore Massimo Mucchetti, Pd). Si fa però fatica a contare tutte le leggi scritte dalle imprese. Il Jobs act, è stato ricopiato dai documenti di Confindust­ria (“Proposte per il mercato del lavoro”), con tanto di sgravi miliardari e visite agli stabilimen­ti Fca a braccetto con Sergio Marchionne; la Buona scuola dall’associazio­ne Treelle (il gotha finanziari­o e industrial­e italiano); la riforma del servizio idrico ha fatto felici le grandi multiutili­ty archiviand­o l’obbligo di gestione pubblica chiesto da milioni di cittadini con i referendum del 2011; la legge che ha reso più facili gli espropri a persone e imprese l’avevano chiesta a gran voce le banche, così come il ripristino dell’ “anatocismo” (il calcolo degli interessi sugli interessi) arrivato con un emendament­o del renziano Sergio Boccadutri. Appena arrivato a Palazzo Chigi, Renzi fece poi saltare la web tax voluta da Letta. E così via dicendo.

Ma è sui tabacchi che è successo di tutto. A ottobre 2014, mentre il Parlamento discuteva di una riforma epocale del settore, Renzi inaugurava – primo premier della storia – lo stabilimen­to bolognese dove Philip Morris produce le sigarette di nuova generazion­e, che poi otterranno uno sconto del 50% sulle accise nella ver- sione finale del decreto. Pochi mesi prima, il premier aveva incontrato a Roma il gran capo della British american tobacco (Bat), Nicandro Durante, la cui società di lì a poco verserà 100 mila euro alla fondazione Open, la cassaforte politica del renzismo. Magari è un caso, ma il previsto aumento delle accise a danno delle marche di fascia bassa (osteggiato da Bat) non ha visto la luce.

Ricco è anche il capitolo degli aiuti più specifici. È il caso della norma infilata in un decreto a Natale 2014 che rendeva non più punibile penalmente chi evade e froda il fisco sotto il 3% del reddito dichiarato, per la gioia del condannato Silvio Berlusconi, ma anche di decine di grandi società, oltreché – rivelò il Fatto – a rischio di compromett­ere il processo fiorentino per frode fiscale al gruppo Aleotti, in ottimi rapporti con Renzi (la norma saltò tra le proteste). In questo comparto va aggiunto di diritto l’emendament­o chiesto dalla Total per il progetto Tempa Rossa e infilato dal governo nella manovra 2014 che è costato le dimissioni del ministro Federica Guidi. Curioso è anche il caso della riforma che ha imposto alle banche di credito cooperativ­o di unirsi in un’unica holding: tra le proteste, il governo ha concesso un’eccezione alle banche con un patrimonio superiore a 200 milioni e ne ha usufruito la Bcc di Cambiano (dove lavora Marco Lotti, padre di Luca) istituto che nel 2009 concesse a Renzi il mutuo per la campagna elettorale da sindaco di Firenze. Curioso è anche il rapporto tra Renzi e Pietro Salini, grande e lodato costruttor­e a cui il fiorentino ha peraltro risolto un paio di grossi problemi per una mega-diga sul Nilo. Ci sarebbero poi le marchette ad hoc, come quella alla sconosciut­a Isiamed – 3 milioni con un emendament­o dei verdiniani alla manovra votato anche dal Pd – o quella del senatore dem Andrea Marcucci (firmatario di un emendament­o che stanzia 3 milioni per i Carnevali d’Italia: di quello di Viareggio, il più importante, è presidente sua sorella), solo per citare gli ultimi casi.

Dulcis in fundo ci sono le mance. A titolo di esempio basti ricordare quelle infilate nella manovra 2016 in occasione del referendum costituzio­nale: aiuti a Coldiretti, soldi alle scuole private e agli italiani all’estero. Parliamo di centinaia di milioni di euro.

Ce n’è per tutti i gusti Dal Jobs act copiato da Confindust­ria agli sconti per le sigarette di nuova generazion­e

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Ansa Tra ex presidenti Enrico Letta e Matteo Renzi

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