L’AVVOCATO DI FINI, ISOTTA E L’ADDIO A“TRISTANO”
Sig. direttore, spero non voglia negarmi un piccolo spazio del Suo giornale onde consentirmi di replicare, per fatto personale, all’articolo del prof. Paolo Isotta, pubblicato da Il Fatto Quotidiano l’ultimo giorno dell’anno appena trascorso. Un articolo scritto con l’intento di ferirmi nella mia vanità professionale ma che, invece – mi creda – ha finito per esaltare il mio orgoglio personale. Non è stato facile per me, infatti, resistere all’e mozione che, rigo dopo rigo, mi ha procurato la consapevolezza di vedermi immortalato, seppur in negativo, da un pubblico commento vergato dal più celebrato musicologo italiano, tra i massimi a livello europeo. Un traguardo fino a ieri impensabile per me che ero e resto un ammiratore dell’illustre professore. Anzi, è la prova regina che non vissi invano. Né mi fanno velo alcune insistite ed evitabili imprecisioni (sono nato e vivo a Salerno, non a Scafati) forse dettate dal gusto intellettualistico – e un tantinello snob – di negare quarti di nobiltà alla “periferia”. Mi consola piuttosto constatare come la mia apparizione televisiva negli studi di Massimo Giletti nella qualità di avvocato di Gianfranco Fini abbia lasciato un segno talmente profondo nell’illustre sub- conscio del musicologo da tenerlo impegnato per ben 27 giorni – tanti ne sono trascorsi da quella puntata di Non è l'A- rena – prima di convincerlo a stroncare, a mezzo stampa, la mia arringa mediatica in difesa dell’ex presidente della Camera. Un vero travaglio interiore che considero una piccola rivincita da condividere con gli altri provinciali ai quali, evidentemente, mal s’attaglia la definizione di “principe”, seppur del foro (Giletti dixit) senza suscitare la “legittima reazione” di un’aristocrazia accademica disposta a concedere ai “fuori sede” solo il diritto alla passione e non anche alla considerazione. E, infatti, Isotta non ha nascosto di considerarmi una “paglietta”, l’avvocato un po’ sofista e un po’ imbroglione che ne fa l’e q u iv a l en t e partenopeo dell’azzeccagarbugli manzoniano. Ma paglietta fa rima con bombetta, il cappello indossato dal grande Totò, che principe lo nacque davvero. E per di più napoletano, come Isotta. E di fronte a quella bombetta mi scappello della mia paglietta, come è giusto per un suddito della provincia. Cessato, dunque, il momento della lusinga e dell’esaltazione, torno tra i miei pari non senza aver prima ringraziato l’illustrissimo Isotta osando persino sperare che egli non mi neghi la possibilità di poterlo un giorno incontrare e conoscere. E se non sarà possibile me ne farò una ragione, comprendendo che per Isotta io non potrò mai essere Tristano!!! AVV. MICHELE SARNO
L'avv. Sarno si è regolato civilmente, avendo preferito l'argomentazione epistolare alla minaccia di adire il Giudice. La sua lettera sarebbe persino spiritosa se non fosse prolissa e se non si terminasse con una battuta che era già vecchia nel 1959, quando me la facevano in terza elementare. Gliene offro, sullo stesso tema, una migliore: alla prima esecuzione napoletana del Tristano e Isolda (come rettamente dovrebbe dirsi: Isolde, tedesco, dal bretone Yseult) di Wagner, durante l'interminabile morte dell'eroe, protraentesi lungo il III atto, dal loggione scappò detto a uno: “Q u an t' è bella 'a morte 'e subbito!”.
BOTTA E RISPOSTA
La lettera di Michele Sarno: “Il professore ha scritto un articolo per ferirmi nella mia vanità, invece mi ha riempito d’orgoglio”