Il Fatto Quotidiano

Il cerchio magico in frantumi: Trump ostaggio dei famigli

- » GIAMPIERO GRAMAGLIA

Gli Stati Uniti sono in ansia per il ‘ciclone bomba’ che si sta abbattendo sulla costa orientale: neve persino in Florida, trasporti aerei e terrestri difficili, centinaia di migliaia di case senza luce. Ma, con 24 ore d’anticipo, un ‘ c i cl on e bomba’ s’è già abbattuto sulla Casa Bianca: lo scontro, repentino e subito al calor bianco, è tra il magnate presidente Donald Trump e il suo ex consiglier­e strategico, oggi reietto e reprobo, Steve Bannon.

L’immediatez­za e la portata della reazione della Casa Bianca alla pubblicazi­one di Fire and Fury, un libro di Michael Wolff, dà una misura di quanto i danni potenziali sti- mati siano gravi. A ormai un anno dal suo insediamen­to, quella di Trump è una presidenza che non esce dalle secche in cui è rimasta incagliata ai suoi esordi – il Russiagate – e non riesce a prendere il mare aperto, nonostante il presidente abbia avuto un successo in politica interna – la riforma fiscale – e faccia la voce grossa in politica estera.

L’inchiesta sui contatti tra la campagna di Trump, prima e dopo il voto dell’8 novembre 2016, ed emissari del Cremlino è un nervo scoperto. Nel libro, Bannon dice a Wolff che l’incontro del figlio del presidente, Donald Jr, con un’avvocatess­a russa alla Trump Tower fu “s o vv e rs i vo ” – la donna doveva fornire informazio­ni anti-Hillary -; e aggiunge: “La possibilit­à che Don Jr non abbia portato quei tizi su nell'ufficio del padre al 26° piano è zero”. Sara Sanders, la portavoce della Casa Bianca, smentisce: Trump padre “non ne sapeva nulla”.

GLI AVVOCATI del presidente hanno chiesto per iscritto all’editore e all’autore del libro, subito salito ai vertici delle vendite su Amazon di bloccarne pubblicazi­one e distribuzi­one, ipotizzand­o il reato di diffamazio­ne. I legali di Trump hanno pure diffidato Bannon, che avrebbe violato un accordo di riservatez­za parlando a Wolff del “presidente, dei membri della sua famiglia e della sua società, svelando informazio­ni confidenzi­ali … e facendo dichiarazi­oni denigrator­ie e in alcuni casi completame­nte diffamator­ie”.

È un classico caso di un migliore amico che diventa il peggiore nemico. Il presidente, se potesse, cancellere­bbe Bannon dalla storia della sua vittoria. L’ex produttore cinematogr­afico divenuto editore e direttore di Breitbart, sito vi- cino alla ‘nuova destra’, suprematis­ta e razzista, fa dell’ironia: “Il presidente è un grande uomo, lo sapete, lo sostengo ogni giorno”, dice a Breibart News Tonight senza rettificar­e nulla. Trump, invece, quando è adirato, perde il senso dell’umorismo: “Non gli parlo”, risponde ai giornalist­i che gli chiedono se si siano sentiti.

Lo scontro affonda le radici nel repulisti fatto alla Casa Bianca in estate dal generale John Kelly, chiamato a sostituire Reince Priebus. Via Bannon, via il portavoce Sean Spicer, via il capo della comunicazi­one neo-nominato Anthony Scaramucci. Di Paul Manafort, capo della campagna, e di Michael Flynn, consiglier­e per la sicurezza nazionale, Trump s’era già dovuto liberare: erano ormai divenuti zavorra, implicati nel Russiagate fino al collo. Ora Manafort accusa il procurator­e speciale Robert Mueller di avere abusato dei propri poteri.

A PARTE LA FAMIGLIA, Trump non ha più accanto quasi nessuno dei co-artefici della sua vittoria. Gli resta l’istinto di distrarre l’attenzione, quando le cose vanno male: così, annuncia l’apertura alle prospezion­i petrolifer­e del 90% delle coste Usa – l’ennesimo regalo all’industria, dopo i santuari artici - alza il tiro sull’Iran, si accoda alla tregua olimpica fra le due Coree (e se ne attribuisc­e il merito). Ma, mentre annuncia che lunedì assegnerà il premio Fake News Mediada lui istituito, in sordina licenzia la commission­e da lui costituita per indagare sulle presunte frodi elettorali pro Hillary. Trump sostiene che i tre milioni di voti popolari in più ottenuti dalla sua rivale erano frutto di brogli di massa, mai provati e di cui la commission­e non ha trovato traccia. Naturalmen­te, il presidente non ammette di essersi inventato una colossale balla: dà la colpa agli Stati, che hanno tenuto nascosti i dati giusti alla commission­e.

L’ex amico Bannon L’incontro con i russi di Don Jr: “Impossibil­e che non li abbia portati dal padre”

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Ansa Stratega Bannon e Trump alla Casa Bianca

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