ROMANIA CORROTTA, NAZIONE IN PIAZZA
uando alcune centinaia di persone, la sera del primo dell’anno, rispondendo a un appello informale circolato quasi clandestinamente e per pochi giorni solo su Facebook, scelgono di andare in piazza in una città gelida dell’Europa centrorientale, invece di
Il partito di governo ha una maggioranza quasi assoluta nell’aula e nessun media contro
QÈ quello che è avvenuto il primo gennaio a Bucarest, a Piata Victoriei, di fronte alla sede del governo, dove i manifestanti, soprattutto giovani della classe media, hanno scandito dai megafoni slogan duris- simi contro il governo: “Siete la peste rossa”, “tutti per la giustizia”, “non vogliamo essere governati dai ladri”. Il motivo scatenante della protesta è una legge appena approvata dal Parlamento che in pratica depenalizza la corruzione dei politici, rendendo non perseguibili gli abusi di potere che portano nelle tasche di chi li compie una somma inferiore ai 40.000 euro o giù di lì. Il provvedimento, accompagnato da un’ampia amnistia che ha già comportato la scarcerazione di alcune migliaia di detenuti, viene giustificato dal partito che detiene la maggioranza dei seggi nel Parlamento rumeno, il Psd (Partito socialista democratico), con l’esigenza di sgravare il lavoro dei magistrati, di non ingolfare il funzionamento delle Procure e le aule dei tribunali. Quel che è chiaro è che per i socialisti questa legge è una priorità assoluta: l’hanno presentata una prima volta, per iniziativa del governo e all’interno di un decreto legge, all’inizio dell’anno (e della legislatura), ma sono stati costretti a ritirarla per il montare di una protesta popolare mai così forte e diffusa in tutto il Paese dai tempi della rivoluzione del 1989, cioè dalla ribellione armata contro la dittatura di Ceausescu. Ci hanno riprovato, questa volta con successo, qualche mese più tardi, con un disegno di legge di iniziativa parlamentare. Per i contestatori della “Bucarest che dice no” il motivo di tanta ostinazione è lampante: i membri del partito che governa il Paese voglio arricchirsi, e lo vogliono fare in fretta! Che cosa c’è di meglio per raggiungere questo obiettivo che rendere legale la corruzione?
Negli ambienti governativi si insinua che chi protesta sia manovrato dal capitale straniero, dalle grandi imprese che operano sul territorio rumeno. Inoltre, per gli esponenti del Psd, uno dei rischi che la legge pro-corrotti contribuisce a scongiurare è quello di un’egemonia della magistratura, di un trasferimento di poteri da un Parlamento eletto liberamente da tutto il popolo rumeno a una cricca di magistrati, lo “stato parallelo” lo chiamano, che risponde solo a se stessa. Per questo, insieme alla depenalizzazione della corruzione, il governo ha varato una serie di misure che, in cambio dell’elargizione di alcuni vantaggi salariali e di carriera ai giudici, limitano seriamente l’autonomia della magistratura, sottomettendola al controllo dell’esecutivo. Il fine, sostiene chi protesta, è quello di impedire che si verifichi quel che è successo nel recente passato, quando una parte rilevante della classe politica rumena e del Partito socialista, a partire dall’ex premier Adrian Nastase, è stata condannata e incarcerata da una magistratura troppo integerrima e determinata. La nuova generazione di politici insomma, ci confida un ingegnere 40enne di una cittadina vicina alla Capitale, vuole rubare senza rischiare la spiacevole conseguenza di finire in gattabuia.
A rafforzare il governo e le sue intenzioni poco nobili intervengono due circostanze favorevoli: una recente schiacciante vittoria elettorale che ha garantito al Psd la maggioranza quasi assoluta in Parlamento e l’assenza di media realmente indipendenti, ovvero di almeno un gruppetto di ostinati rompicoglioni che, come il Fatto Quotidiano in Italia, si propongano di non farla passar liscia ai potenti di turno, che si mettano di traverso difendendo la separazione dei poteri e l’indipendenza della magistratura. Per le Tv rumene le proteste di febbraio non sono quasi esistite e per capire qualcosa della situazione politica nazionale bisogna leggere il Guardian o il New York Times.
I socialisti locali, che a me italiano alcuni negli migliori non anni dei possono eredi nostri Ottanta, della non tristemente si ricordare tradizione dimostrano famosi tanto co- i munista, tare lo sguardo di Bucarest, ci verso dice un e il non maestro sol si dell’avvenire riferisce elemen- alo sta, alla ma formazione all’inveterata culturale abitudine marxi- della vecchia nomenklatura rossa di utilizzare un mandato, una carica ricevuta, per dispensare favori in cambio di un’adeguata bustarella: negli ospedali, negli uffici pubblici, nei luoghi di lavoro, ovunque fosse possibile.
Del resto, la spinta a combattere tenacemente la corruzione è provenuta, negli scorsi anni, soprattutto da quell’Unione europea della quale la Romania ha voluto a tutti i costi far parte, ma che oggi sembra essere
finita, in queste lande, come del resto più a nord, a Varsavia o a Budapest, in assoluta disgrazia. Dei moniti a non abbandonare la lotta anticorruzione che giungono da Bruxelles o dal vertice dell’Internazionale Socialista di cui il Psd fa parte, il partito al governo, guidato da un già condannato ora di nuovo sotto processo per altri reati, se ne infischia totalmente, considerandole quasi alla stregua di fastidiose “interferenze straniere”. Il vento che spira oggi in quest’angolo dei Balcani è quello nazionalista: i rumeni prima di tutto, questa la parola d’ordine. Quella che spinge, tra l’altro, a coprire di denaro, esaltandone il ruolo in chiave sciovinista, la Chiesa ortodossa nazionale, o ad aprire al pubblico, trasformandola in museo, la residenza privata del dittatore Ceausescu o che incoraggia la “dagopatia”, quell’atteggiamento che attribuisce ai romeni, pronipoti dei Daci, buona parte dei meriti della storia umana: dall’invenzione della ruota alla costruzione dell’Impero romano, e via di questo passo. Sul piano economico, in un Paese che avrebbe bisogno di investimenti soprattutto in infrastrutture, nel quale non ci sono autostrade e la rete ferroviaria versa in cattive condizioni, il nazionalismo di corto respiro privilegia la finanza allegra e l’indebitamento pubblico, che spingono verso l’alto i consumi, ma non offrono certo garanzie di una crescita stabile e solida.
Quel che sinora impedisce che il Paese si allontani più decisamente dall’alveo delle democrazie liberali è solo l’assenza di un “uomo forte”, di un Orban o di un Kaczynski, che seduca le masse e le trascini alla mobilitazione anti-immigrati o anti-Islam, casomai riaccendendo anche l’antico focolaio del patriottismo antisemita.
I segnali inquietanti sono tanti, ma la battaglia non è certamente ancora conclusa. Il 20 gennaio i “rumeni che dicono no” alla corruzione di Stato si ritroveranno in Piata Victorei e in altre piazze, in tutto il Paese. Se questa volta, senza il Capodanno di mezzo e grazie a un’organizzazione migliore, saranno finalmente in tanti ad accorrere, un piccolo segnale di speranza per le sorti della giustizia (e per il futuro dell’Europa intera) si accenderà anche a oriente della vecchia Cortina di ferro.