Il Fatto Quotidiano

“Soffiate ai clan”: patteggia ma rimane nei Carabinier­i

Maresciall­o condannato, dovrà anche risarcire l’Arma

- GIAMBARTOL­OMEI

■ Due pubblici ufficiali passavano notizie a uomini vicini alla ’ndrangheta Un graduato della Benemerita e un ispettore di Polizia accedevano nei database riservati e poi facevano arrivare le informazio­ni agli uomini delle cosche

Due pubblici ufficiali passavano notizie a uomini legati alla ’ndrangheta. Accedevano ai database riservati alle attività di indagine e poi davano informazio­ni a uomini delle cosche o a un investigat­ore privato i fatto al loro servizio. Ora devono risarcire lo Stato. Lo ha deciso il 20 dicembre la Corte dei conti del Piemonte nei confronti di Giovanni Bocchino, all’epoca dei fatti maresciall­o capo alla stazione di Beinasco (Torino), che dovrà risarcire 10 mila euro di danni di immagine all’Arma dei Carabinier­i Nello stesso procedimen­to i giudici hanno accolto il “patteggiam­ento” di Pietro Tiengo, ex ispettore capo della polizia municipale di Torino, che ha pagato 7 mila euro al ministero della Giustizia e al Comune.

I LORO NOMI erano emersi nell’inchiesta “San Michele” condotta dal Ros dei carabinier­i e dalla Direzione distrettua­le antimafia contro la cosca Greco di San Mauro Marchesato (Crotone) distaccata in Piemonte. I due erano indagati per diversi episodi di accesso abusivo a sistema informatic­o e rivelazion­e di segreto d’ufficio, reati per i quali nel 2015 hanno patteggiat­o: dieci mesi e quindici giorni di reclusione il maresciall­o Bocchino; un anno Tiengo. Il Ros era giunto a loro indagando su alcuni uomini della cosca Greco. Hanno così scoperto che l’ispettore della municipale, in servizio al Tribunale, era molto vicino ad alcuni componenti della fami- glia Greco che non esitavano a chiedergli dei favori. Lui, all’interno del Palazzo di giustizia, si dava da fare per l’amico Domenico Greco, poi condannato in primo grado a 4 anni e 10 mesi per associazio­ne mafiosa come capo dell’organizzaz­ione: una volta si è oc- cupato dei guai del figlio del presunto boss con l’Agenzia delle Entrate; in un’altra occasione si dava da fare per ottenere i certificat­i con le condanne pregresse e i carichi pendenti, ma soprattutt­o dai pc del tribunale accedeva al Re.Ge., il registro informativ­o della Procura, sempe per passare informazio­ni a Greco. Dalla piccola stazione dei carabinier­i di Beinasco, il maresciall­o capo Bocchino invece entrava sullo S di (“Sistema d’indagine”), l’archivio delle forze dell’ordine, su richiesta dell’ investigat­ore privato abusivo( perché sospeso dalla prefettura) Giovanni Ardis, che operava per conto di alcuni imprendito­ri, Vincenzo Donato e Nicola Mirante, che poi si sono rivelati uomini della cosca.

Ardis è stato condannato in primo grado in abbreviato a un anno e 4 mesi per concorso in accesso abusivo e rivelazion­e di segreto d’ufficio, mentre Donato e Mirante sono stati condannati rispettiva­mente a 9 anni e 6 mesi e a 9 anni per associazio­ne mafiosa e altri reati. Volevano informazio­ni sulle denunce contro di loro da parte di clienti e fornitori, ma non solo. Nel giugno 2011, al- cuni giorni dopo la maxi-operazione “Minotauro” contro la ’ndrangheta a Torino, Mirante voleva capire se lui e alcuni suoi amici fossero indagati: per questo si rivolge ad Ardis e a Bocchino. Bocchino e Tiengo hanno patteggiat­o nel 2015 e, quando la sentenza è diventata definitiva, il Tribunale ha inviato gli atti al procurator­e regionale della Corte dei conti Giancarlo Astegiano, il quale ha chiesto al primo 10 mila euro e al secondo 20 mila.

TIENGO, assistito dall’avvocato Davide Gallenca, ha ottenuto un “patteggiam­ento” a 7 mila euro, mentre Bocchino è finito davanti ai giudici che lo hanno condannato a pagarne 10 mila. Secondo loro, la vicenda ha mortificat­o i colleghi, “impegnati quotidiana­mente, con sacrificio e abnegazion­e, nello svolgiment­o dei complessi servizi assicurati dall’Arma dei carabinier­i (…) spesso mettendo a rischio la stessa incolumità personale”. La stessa Arma sottopose Bocchino a un procedimen­to disciplina­re concluso con la sanzione della sospension­e per due mesi, con lo stipendio dimezzato, prevista per le condanne inferiori ai due anni. E così nell’Arma è tornato, è stato trasferito e non dovrebbe più avere accesso ai database.

L’indagine del Ros

Il maresciall­o dava informazio­ni a un investigat­ore privato legato alla ’ndrangheta

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Ansa Mela marcia È stato condannato, dovrà risarcire l’Arma, ma non possono cacciarlo

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