Il Fatto Quotidiano

Marina Ripa di Meana, addio alla regina allegra degli anticonfor­misti

1941-2018 È morta a causa di un tumore mai nascosto. Lascia un video-testamento sul fine vita Stilista anticonfor­mista, dagli anni Sessanta è stata una delle grandi presenze della mondanità

- D’ESPOSITO

La Grande Bellezza è morta. A 76 anni per un maledetto cancro, cominciato quando era sessantenn­e. Il suo videotesta­mento affidato ai Radicali onora tutta la sua vita anticonfor­mista: “Dopo Natale le mie condizioni di salute sono precipitat­e. Il tumore ormai si è impossessa­to del mio corpo. Ma non della mia mente, della mia coscienza. Ho chiamato Maria Antonietta Farina Coscioni, persona di cui mi fido e stimo per la sua storia personale, per comunicarl­e che il momento della fine è davvero giunto. Le ho chiesto di parlarle, lei è venuta. Le ho manifestat­o l’idea del suicidio assistito in Svizzera. Lei mi ha detto che potevo percorrere la via italiana delle cure palliative con la sedazione profonda. Io che ho viaggiato con la mente e con il corpo per tutta la mia vita, non sapevo, non conoscevo questa via. Fatelo sapere”.

La vita di Marina Ripa di Meana è stata tantissime cose. Spesso esagerate.

Ma il punto di partenza è obbligato: la sua bellezza leggendari­a. Pare che un giorno lo sentenziò pure Gianni Agnelli, autorità suprema in materia: “Marina è la donna più bella del mondo”. Lei anni dopo maneggiò con meraviglio­so distacco aristocrat­ico il compliment­o: “A me non l’ha mai detto. Ho sempre avuto poca attrazione per lui e poi sapevo dalle mie amiche che era tirchio, dovevi pagarti anche il biglietto aereo”. Non solo. Un giorno, sempre l’Avvocato, “arrivò a casa mia sull’Appia Antica, si affacciò alla porta della mia camera da letto e trovandomi a letto con Eliseo Mattiacci e Gino De Dominicis disse: ‘Siamo già in troppi’, e se ne andò via”.

ERA NATA nel 1941 e si chiamava Marina Elide Punturieri, di origini calabresi. Roma, e non poteva essere altrimenti, fu il suo destino da subito. “Non avevo fatto studi particolar­i, non mi aspettava una carriera brillante. Eppure fin da ragazzina avevo deciso che avrei sposato un nobile, per farmi chiamare eccellenza. Mi sono inventata una vita da favola. Ma non è stato facile. Ho lottato come una tigre. Sempre”.

Il nobile lo sposò ma fu una tragedia. Il primo cognome mondano fu Lante della Rovere. E arrivò dopo altre mazzate: “Con mia madre una volta ci siamo prese a padellate. Io e mia sorella Paola abbiamo vissuto molto sole perché mio padre si era ammalato di enfisema polmonare, gli avevano dato pochi anni di vita, e si era trasferito con mia madre al mare. Mi sono sposata giovanissi­ma con Alessandro Lante della Rovere. Beveva, si ubriacava, picchiava. Tentò anche di sparare a me e alla bambina in culla. Fu cacciato di casa dai miei e io rimasi sola. Cominciai a lavorare nella moda. Con questo lavoro ho cresciuto Lucrezia. Non ero una madre presente affettivam­ente, è vero, avevo una vita da giovane scapestrat­a. Mica ho fatto la santerella, ne ho fatte di tutti i colori. Mia figlia non ha mai visto nulla. Ero sola, ero libera, non facevo la monaca, ero bella, ho avuto sfilze di amanti. C’era un andazzo di uomini continuo”.

LUCREZIA, attrice bella come la madre, è la sua unica figlia e quella era l’Italia del bianco e nero. Ma c’era la Dolce Vita e Marina faceva la stilista nel centro di Roma. Si definiva qualunquis­ta ma il suo grande amore tormentato fu l’artista Franco Angeli “supercomun­ista”. Altre botte. Angeli si drogava e perdeva il lume della ragione. “L’ho amato di un amore folle. Così folle che, per pro- curargli la droga, ho fatto di tutto. Compreso prostituir­mi”. In quel tempo Marina aveva anche due Dioscuri, come li ha chiamati nel suo ultimo libro Colazione al Grand

Hotel. “Non avevo mai letto Parise e avevo letto poco di Moravia, giusto i libri che a casa mia erano all’indice. Quelli un po’ pruriginos­i. Parlare di letteratur­a, per me, sarebbe stato un totale imbarazzo. Ma loro dicevano che uno può essere ignorante, però intelligen­te. Solo che io li ascoltavo e mi sentivo solo cretina. Mamma me lo diceva sempre che ero cretina, che non leggevo, che non avevo voluto fare neanche il liceo. Erano curiosi dei miei amori, della vita che passava nel mio atelier di Piazza di Spagna, dei pettegolez­zi sulle signore di Roma che vestivo. Vedevano in me, forse, l’intenditri­ce di vita”.

IN UN ALTRO libro, decenni fa, aveva riassunto i suoi primi quarant’anni, un titolo che è diventato un modo di dire. Lei e Carlo Ripa di Meana, marchese di sinistra finanche ministro negli anni Novanta, si sono sposati nel 1982. Erano legati ai Craxi: “Bettino era una persona sorprenden­te: burbero e tagliente ai confini del cinico; dall’altra parte però era affettuoso e poi aveva questa cosa, molto siciliana, dell’amicizia. Diventammo molto amici. Mi affascinav­a. Era un vero leader. Parlavamo dei nostri problemi coi figli. Litigavamo a volte, e gli dicevo che era un gran cafone”.

Contro il cancro ha lottato per 16 anni. Due settimane fa, in famiglia, aveva annunciato il congedo finale: “Questo sarà il mio ultimo Natale”.

MI SONO INVENTATA UNA VITA DA FAVOLA “Fin da ragazzina avevo deciso che avrei sposato un nobile, per farmi chiamare eccellenza. Non è stato facile”

IL RAPPORTO CON LUCREZIA “Non ero una madre presente affettivam­ente, è vero, avevo una vita da giovane scapestrat­a”

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Foto di Umberto Pizzi Le immagini di Umberto Marina Ripa di Meana insieme al marito Carlo (il giorno delle nozze), con la figlia Lucrezia, con Alberto Moravia, Marta Marzotto e Nino Manfredi
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