Il Fatto Quotidiano

Menu ’ndrangheta: “Vino di uva marcia che fa la schiumazza”

Mani in pasta Per il mercato tedesco soltanto prodotti scadenti come i semilavora­ti di pizza. La tavola dei clan, dal pane al pesce

- » LUCIO MUSOLINO Reggio Calabria

Abbiamo dal baccalà ai vini, al prosecco, pesce congelato, carne congelata, salumi, formaggi, pelato, olio, pasta”. Il menù della ’ ndrangheta lo serve Martino Cariati, uno dei 170 arrestati nell’operazione Stige. Per la Dda, Cariati è un luogotenen­te del clan Farao-Marincola.

Non è il solo maître delle cosche. Con lui ci sono altri come i boss Vittorio e Vincenzo Farao e Francesco Tallarico. Ma anche i re del pesce Leonardo Crugliano e Salvatore Nigro. Per non parlare di Salvatore Morrone e del panificio di suo figlio Francesco che, a 32 anni, ormai detiene il monopolio del pane in tutto il comprensor­io di Cirò Marina. “A tutti i paesi deve portare il pane lui – un imprendito­re si lamenta –. Questa è la mafia, la vedi! Prepotenti… cristiani di merda”.

DAL PRIMO PIATTO alla frutta passando per un secondo di pesce appena pescato e un buon bicchiere di vino, rigorosame­nte “Cirò”. Se nell’etichetta c’è scritto “Zu Lorenzo” è meglio perché è quello di Giuseppe Sestito, detto Pino, che lo fa produrre alla cantina “Zito” e lo commercial­izza personalme­nte dopo aver dato alla bottiglia il nome del defunto padre. “Solo ‘Zu Lorenzo’ – avverte ‘compare Pino’ - Non la linea di Zito... a me interessa che voi portate avanti ’ste quattro cose”.

Per i palati meno raffinati e per il mercato tedesco, invece, il menù dei “cirotani” impone i semilavora­ti di pizza o il vino “Re Sole” della cantina “Malena”. La seconda edizione però. Perché il primo “Re Sole è stato un capolavoro… il migliore” è scritto nelle intercetta­zioni. Dal secondo cartone in poi, “di quel cazzo di ‘Re So- le’ (i ristorator­i, ndr) non sanno come se lo devono cacciare. Lo mettono nelle caraffe e resta tutto attorno, attorno rosso... la schiumazza fa... ma ti dico che pare uva marcia”.

L’ambasciato­re in Germania del vino “Cirò” è senza dubbio Vittorio Farao che, nelle carte dell’inchiesta Stige (coordinata dal procurator­e Nicola Gratteri), appare quasi come un promoter della can- tina Malena. Se gli altri lo vendevano “a cartoni”, prima di essere arrestato dalla Dda di Catanzaro, lui lo piazzava “a pedane” nei ristoranti tedeschi che non gliel’avev ano mai ordinato.

Come è successo a Luigi Lavorato che, nel maggio 2014, a Francofort­e non accetta i 50 cartoni di vino inviati a sua insaputa da Pasquale Malena. Con il titolare della cantina, il ristorator­e italiano trapiantat­o in Germania è stato categorico. “No! Io la pedana non la prendo ... non ne prendo, non l’ho ordinata... io ordino... signor Malena! Io prendo il vino, soltanto quello che mi serve!”.

PASSA una settimana e arriva la telefonata di Vittorio Farao e, per il gip che ha firmato il suo arresto, “un’attenta lettura della conversazi­one, delle parole utilizzate, dei toni dei due interlocut­ori, restituiva­no la pressione psicologic­a che la famiglia Farao imprime nello svolgiment­o dell’attività commercial­e legata all’export vinicolo”. “Allora ascolta, tengo cinquanta cartoni di vino dei tuoi a Francofort­e, mi senti... li tengo a venti giorni fermi, allora se ti arrivano te li prendi?”. Il boss chiede e il ristorator­e è a disagio: “...cinquanta sono troppi ohii Vittò... io ti parlo sincero”.

Il seguito della conversazi­one dà quasi la sensazione plastica di come si piega la volontà dell’“amico ristorator­e”: “Male che va te ne prendi una trentina...”. “Tu non ti preoccupar­e Vittò, quando mi telefoni mi metto a disposi- zione.”. “Ero rimasto male io ... dico possibile che Luigi non si prendeva il vino?”.

Il vino e il pesce a tavola vanno d’accordo. A Cirò Marina fanno felice anche la ’ndrangheta che controlla tutta la filiera ittica fino al tavolo del ristorante “Sasà il pescatore” di Salvatore Nigro che nelle bocce del tonno ha fatto stampare anche la sua fotografia. Per pranzare da lui bisogna rispettare gli orari. E lo deve fare anche il sindaco di Carfizzi che un giorno voleva prenotare un tavolo ma ha telefonato tardi: “Se dovete venire a fare un pranzo almeno alle dieci mi dovete chiamare perché io i pesci me li vendo avete capito?”.

D’ALTRONDE, Sasà si contende il pesce migliore con Leonardo Grugliano. Entrambi sono stati arrestati perché “controllan­o, per conto della cosca, la flotta pescherecc­ia e le infrastrut­ture portuali del porto di Cirò Marina”. Per i pm titolari dell’inchiesta, i pescatori sono completame­nte “sottomessi” e “soggiogati” al volere di Sasà e Crugliano che, se c’è qualcuno che pensa di vendere in proprio il pesce appena pescato, non lesina minacce: “Chi deve venire a caricare? Tu i pesci li devi portare tutti a me e non ti permettere a portarli da altre parti, altrimenti ti faccio passare i guai”.

Un pranzo che si rispetti si conclude con buon caffè che è “meglio della cocaina” per i guadagni che consentiva ai cirotani. La frase è del titolare di un ristorante in Germania, Giovanni Spina (non indagato) il quale, parlando con un suo parente, decanta le gesta “tedesche” di Vincenzo Farao: “Vogliono vendere tutto loro guagliò. Vogliono pulire a tutti qua”. La regola era una sola: “O accatti o accatti”. Che, spiegano i pm, in italiano significa: “O compri o compri... devi comperare per forza, perché quando si presentano loro non sono previste altre opzioni”.

IN ALTO I CALICI

Il boss: “Tengo 50 cartoni di Cirò a Francofort­e, te li prendi?” Il ristorator­e: “Troppi, sono sincero”

MORAL SUASION

“Tu il pescato lo devi portare tutto a me, non ti permettere a portarlo da altre parti, se no ti faccio passare i guai”

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I marchi in mano alle cosche calabresi
Il pranzo è servito I marchi in mano alle cosche calabresi

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