Cene a spese del Comune: 2 anni a Marino in appello
Due anni per le spese pazze Ribaltata l’assoluzione di primo grado Il Marziano: “Sentenza dal sapore politico proprio ora che si vota”
La Corte di Appello di Roma ha ribaltato la sentenza di assoluzione in primo grado e ha condannato Ignazio Marino a due anni di reclusione per falso e peculato. Secondo l’accusa, l’ex sindaco di Roma non avrebbe usato sempre per finalità istituzionali la carta di credito del Campidoglio con cui ha pagato 54 cene di rappresentanza consumate nei 28 mesi, tra il 13 giugno 2013 e il 31 ottobre 2015, in cui è stato primo cittadino della capitale. Cene che, secondo il procuratore generale Vincenzo Saveriano, in 26 casi su 54 sono state consumate in giorni festivi o pre-festivi, circostanza che avrebbe portato i magistrati di piazzale Clodio a ipotizzare che fossero avvenute al di fuori degli impegni istituzionali. Anche perché, alcuni ristoratori, si legge nella richiesta di appello depositata dai giudici, avrebbero riconosciuto nella moglie di Marino “la commensale del sinda co ”. Insomma, dopo la poltrona in Campidoglio, la vicenda della cattiva rendicontazione degli scontrini costa a Marino anche una condanna.
UNA STANGATAper il sindaco Marziano, che ora dovrà vedersela anche con il risarcimento in favore del Campidoglio che si è costituito parte civile. Per lui anche la condanna al pagamento delle spese processuali e l’interdizione dei pubblici uffici per la durata della sentenza. Unica consolazione la conferma dell’assoluzione anche in secondo grado dall’accusa di truffa per alcune consulenze della sua Onlus Imagine.
Il chirurgo è uscito dal tribunale scuro in volto, evidentemente sorpreso dalla condanna in Appello dopo l’assoluzione in primo gra- do. “Si tratta di una sentenza dal sapore politico propio nel momento in cui si avvicinano due importanti scadenze elettorali, per il Paese e la Regione Lazio”, ha commentato Marino a caldo. E ancora: “I giudici sostengono che in ventotto mesi di attività il sindaco non abbia mai organizzato cene di rappresentanza ma solo incontri privati, un dato che contrasta con la logica più elementare”. Poi però ha rivendicato: “Sono amareggiato ma tranquillo con la coscienza perché so di non aver mai speso un euro pubblico per fini privati, continuerò la mia battaglia in Cassazione”.
NELLA SUA ARRINGA difensiva, il legale di Marino, Vincenzo Musco, ha rivendicato che l’attività del suo assistito a Palazzo Senatorio ha portato nelle casse comunali milioni di euro tra donazioni di mecenati e operazioni di marketing territoriale. Mentre l’ex sindaco è intervenuto brevemente ne ll’aula giudiziaria per consegnare due memorie difensive per documentare di aver avviato la spending reviewdel Campidoglio partendo dalla decurtazione del 10 per cento del suo stipendio, atto avvenuto prima dell’apertura di qualsiasi fascicolo di indagine nei suoi confronti, e di aver fatto alcuni pagamenti con la propria carta di credito durante una missione istituzionale a New York. Una tesi che però non deve aver convinto il collegio giudicante, riunito per oltre due ore in camera di consiglio.
Il guaio della vicenda degli scontrini, anticipata dal Fatto nel settembre 2015, a- veva portato alla rottura finale dei già precari equilibri tra Marino, allora esponente del Pd, e la sua maggioranza in Assemblea capitolina guidata proprio dal suo partito. Inviso al gruppo dirigente renziano e al presi-
IGNAZIO MARINO
I giudici sostengono che in 28 mesi io non abbia mai organizzato cene di rappresentanza, mi pare illogico
dente Matteo Orfini per la sua autonomia, Marino è stato defenestrato con le dimissioni in massa di buona parte dei consiglieri della sua maggioranza, aiutati da alcuni eletti nei partiti di centro destra. Una frattura che tuttora agita il Pd romano, col paradosso di alcuni consiglieri comunali dem che ieri hanno rivendicato la scelta delle dimissioni, che di fatto li ha relegati in minoranza in Campidoglio.