Come sopravvivere (anche sorridendo) all’inferno in corsia
RAI TRE In onda da domani sera “La linea verticale”, la fiction scritta e diretta da Mattia Torre con Valerio Mastandrea nei panni di un malato di cancro. Un microcosmo di ansia, con leggerezza
Un ospedale ha le sue regole. È un luogo dove la rabbia si sfoga sempre dall’alto verso il basso, in linea verticale dai potenti ai sottoposti. In un solo caso ci si sfoga in linea orizzontale, senza barriere di censo: contro la pulsantiera dell’ascensore, a pugni, a volte a calci. Tutti, chirurghi, capisala, infermieri e pazienti. Un ospedale è un luogo dove una porta chiusa non va mai aperta, o possono accadere cose che voi umani non potete immaginare.
UN OSPEDALE è un luogo dove “si mangia di merda”, dove il televisore del vicino di letto è sempre più bello del tuo anche se è lo stesso modello e dove non esistono classi sociali, perché i malati sono tutti uguali. Un ospedale è un luogo con orari indipendenti rispetto al resto del mondo, dove chi non può muoversi è costretto ad ascoltare il terribile pop italiano della caposala, la sola cosa da cui “non si guarisce”.
Tutte queste cose, in un ospedale, possono far sorridere, ma l’ospedale è il luogo dove si trova improvvisamente a dover abitare per 21 giorni Luigi, 40 anni, una figlia di sette anni e una moglie all’ottavo mese di gravidanza. Luigi da un giorno all’altro scopre di avere un tumore al rene per cui deve essere immediatamente operato. E questo, per quanto una serie tv si sforzi di renderlo “umano”, non fa mai ridere. Il merito de La linea Verticale, scritta e diretta da Mattia Torre e in onda da domani sera su Rai3 (ma gli otto episodi sono già disponibili su R ai pl a y), è comunque quello di raccontare la malat- tia in diretta, senza sconti, con la leggerezza e l’intelligenza (e qualche perdonabile eccesso) di chi – prima di attraversare egli tesso l’odissea del cancro – ha contribuito a creare un capolavoro come Boris. Valerio Mastandrea nei panni di Luigi conferma di essere uno dei migliori attori della sua generazione (se non il migliore). Luigi è un paziente inserito in un microcosmo da girone dantesco che è la corsia di un ospedale. C’è la comunità dei ricoverati: il cuoco che si improvvisa medico di tutti (Giorgio Tirabassi), il rassegnato, il sarcastico, il prete (Paolo Calabrese, sacerdote dalla dubbia vocazione che si trova a dover affrontare la stessa battaglia dei pazienti che assiste spiritualmente), i compagni di stanza (il recidivo Gianfelice Imparato e Babak Karimi, il persiano ricco commerciante ma che tutti trattano da “migrante”) e la comunità dei medici e dei paramedici (Ninni Bruschetta e Antonio Catania su tutti).
Ci si spaventa e ci si commuove, eppur si ride. Un paziente oncologico è sempre qualcuno a cui “poteva andare peggio”, anche nel caso in cui sia morto perché, come risponde a Luigi la gentile infermiera di uno dei tanti sogni, “nel tuo paese non c’è la guerra e i tuoi cari non sono bombardati”. E se sei morto, nel tuo paese c’è la guerra e la tua famiglia è stata sterminata, puoi sempre consolarti perché “oggi c’è il sole”.
CI SI SPAVENTA e ci si commuove eppur non si dispera. Alla fine la linea verticale non è solo quella in cui il più forte scarica la frustrazione sui più deboli, ma è anche quella su cui Luigi, dimesso dopo ven- tuno giorni di ricovero, decide di vivere “in asse”: “Quando ho saputo di avere il tumore – recita Mastandrea – sono morto. Dopo, ogni cosa è stata un regalo. Senza questo tumore sarei sicuramente morto”.
Il cancro un regalo? Certo che no, ma va raccontato, non per esorcizzarlo (esercizio impossibile) ma per capire – come ripetono continuamente i medici del reparto – che per guarire ci vuole “la capoccia”. Non è detto che basti, sicuramente aiuta: a guarire certo, ma anche a pagare le tasse con gioia. Perché, come riflette Luigi- Mastandrea “un ospedale pubblico mi ha salvato la vita, senza chiedermi nulla in cambio”.
Nel cast Giorgio Tirabassi è un cuoco, Paolo Calabrese un sacerdote, Ninni Bruschetta e Antonio Catania due paramedici Le puntate sono già su Raiplay