Il Fatto Quotidiano

Come sopravvive­re (anche sorridendo) all’inferno in corsia

RAI TRE In onda da domani sera “La linea verticale”, la fiction scritta e diretta da Mattia Torre con Valerio Mastandrea nei panni di un malato di cancro. Un microcosmo di ansia, con leggerezza

- » STEFANO CASELLI

Un ospedale ha le sue regole. È un luogo dove la rabbia si sfoga sempre dall’alto verso il basso, in linea verticale dai potenti ai sottoposti. In un solo caso ci si sfoga in linea orizzontal­e, senza barriere di censo: contro la pulsantier­a dell’ascensore, a pugni, a volte a calci. Tutti, chirurghi, capisala, infermieri e pazienti. Un ospedale è un luogo dove una porta chiusa non va mai aperta, o possono accadere cose che voi umani non potete immaginare.

UN OSPEDALE è un luogo dove “si mangia di merda”, dove il televisore del vicino di letto è sempre più bello del tuo anche se è lo stesso modello e dove non esistono classi sociali, perché i malati sono tutti uguali. Un ospedale è un luogo con orari indipenden­ti rispetto al resto del mondo, dove chi non può muoversi è costretto ad ascoltare il terribile pop italiano della caposala, la sola cosa da cui “non si guarisce”.

Tutte queste cose, in un ospedale, possono far sorridere, ma l’ospedale è il luogo dove si trova improvvisa­mente a dover abitare per 21 giorni Luigi, 40 anni, una figlia di sette anni e una moglie all’ottavo mese di gravidanza. Luigi da un giorno all’altro scopre di avere un tumore al rene per cui deve essere immediatam­ente operato. E questo, per quanto una serie tv si sforzi di renderlo “umano”, non fa mai ridere. Il merito de La linea Verticale, scritta e diretta da Mattia Torre e in onda da domani sera su Rai3 (ma gli otto episodi sono già disponibil­i su R ai pl a y), è comunque quello di raccontare la malat- tia in diretta, senza sconti, con la leggerezza e l’intelligen­za (e qualche perdonabil­e eccesso) di chi – prima di attraversa­re egli tesso l’odissea del cancro – ha contribuit­o a creare un capolavoro come Boris. Valerio Mastandrea nei panni di Luigi conferma di essere uno dei migliori attori della sua generazion­e (se non il migliore). Luigi è un paziente inserito in un microcosmo da girone dantesco che è la corsia di un ospedale. C’è la comunità dei ricoverati: il cuoco che si improvvisa medico di tutti (Giorgio Tirabassi), il rassegnato, il sarcastico, il prete (Paolo Calabrese, sacerdote dalla dubbia vocazione che si trova a dover affrontare la stessa battaglia dei pazienti che assiste spiritualm­ente), i compagni di stanza (il recidivo Gianfelice Imparato e Babak Karimi, il persiano ricco commercian­te ma che tutti trattano da “migrante”) e la comunità dei medici e dei paramedici (Ninni Bruschetta e Antonio Catania su tutti).

Ci si spaventa e ci si commuove, eppur si ride. Un paziente oncologico è sempre qualcuno a cui “poteva andare peggio”, anche nel caso in cui sia morto perché, come risponde a Luigi la gentile infermiera di uno dei tanti sogni, “nel tuo paese non c’è la guerra e i tuoi cari non sono bombardati”. E se sei morto, nel tuo paese c’è la guerra e la tua famiglia è stata sterminata, puoi sempre consolarti perché “oggi c’è il sole”.

CI SI SPAVENTA e ci si commuove eppur non si dispera. Alla fine la linea verticale non è solo quella in cui il più forte scarica la frustrazio­ne sui più deboli, ma è anche quella su cui Luigi, dimesso dopo ven- tuno giorni di ricovero, decide di vivere “in asse”: “Quando ho saputo di avere il tumore – recita Mastandrea – sono morto. Dopo, ogni cosa è stata un regalo. Senza questo tumore sarei sicurament­e morto”.

Il cancro un regalo? Certo che no, ma va raccontato, non per esorcizzar­lo (esercizio impossibil­e) ma per capire – come ripetono continuame­nte i medici del reparto – che per guarire ci vuole “la capoccia”. Non è detto che basti, sicurament­e aiuta: a guarire certo, ma anche a pagare le tasse con gioia. Perché, come riflette Luigi- Mastandrea “un ospedale pubblico mi ha salvato la vita, senza chiedermi nulla in cambio”.

Nel cast Giorgio Tirabassi è un cuoco, Paolo Calabrese un sacerdote, Ninni Bruschetta e Antonio Catania due paramedici Le puntate sono già su Raiplay

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LaPresse Attore e regista Valerio Mastandrea ha 45 anni

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