Il Fatto Quotidiano

“STAMPUBBLI­CA” E GLI ALTRI EDITORI IMPURI

- » GIOVANNI VALENTINI

“La verità è prismatica, noi dobbiamo contentarc­i della faccia che ci viene concessa di vedere”

(da “Un mese con Montalbano” di Andrea Camilleri, Sellerio, 2017, pag. 380)

Ormai è vero tutto e il contrario di tutto. Nella bulimia della comunicazi­one moderna, non riusciamo più a distinguer­e il vero dal falso, l’informazio­ne dalla disinforma­zione, le notizie autentiche dalle fake news o “bufale” che dir si voglia.

Dai vaccini obbligator­i ai sacchetti biodegrada­bili, dalla raccolta dei rifiuti ai termovalor­izzatori, dalle molestie sessuali alle “avance”, dal Jobs Act al lavoro precario, tutto finisce nel frullatore mediatico in azione ventiquatt­r’ore su ventiquatt­ro. Il “falò della verità” brucia l’informazio­ne provocando così incertezza, confusione, smarriment­o. Ma non è soltanto la nostra cattiva politica, nella sarabanda della campagna elettorale, ad alimentare il flusso di scorie e di veleni.

Una volta si usava dire “l’ha scritto il giornale”. Oppure, “l’ha detto la radio”, “l’ha detto la television­e”. E si riconoscev­a così ai mass media tradiziona­li una credibilit­à e un’autorevole­zza che oggi questi vanno sempre più perdendo. Oggi, piuttosto, accade il contrario e l’opinione pubblica tende a fidarsi più dell’informazio­ne alternativ­a, spontanea, diffusa dai social network.

È innanzitut­to una crisi di sfiducia, dunque, quella che colpisce il sistema mediatico, prima ancora che economica, commercial­e o pubblicita­ria. Una crisi che chiama in causa le responsabi­lità imprendito­riali degli editori. Ma interpella anche la coscienza profession­ale dei giornalist­i, la loro identità e la loro deontologi­a.

SE UN EDITORE fa attaccare o difendere un sindaco o un premier in funzione dei propri interessi, estranei o addirittur­a contrari all’attività dei suoi giornali o delle sue television­i, prima o poi i lettori-telespetta­tori percepisco­no la strumental­izzazione, la rifiutano e sanzionano le testate che la praticano. Se un altro editore, in ragione del suo ruolo e del suo potere mediatico, riceve od ottiene informazio­ni riservate da qualche incauta fonte privilegia­ta e poi le usa per fare affari, investimen­ti o speculazio­ni finanziari­e, è chiaro che – anche indipenden­temente da eventuali aspetti giudiziari – questo non può che nuocere all’immagine e all’affidabili­tà delle sue testate. È ciò che è avvenuto nel caso Renzi-De Benedetti in merito alle anticipazi­oni sulla trasformaz­ione delle banche popolari in Spa, di cui il Fatto Quotidiano ha riferito negli ultimi giorni.

A parte rare eccezioni, tra cui in prima fila la società che pubblica questo giornale, in Italia la figura del cosiddetto “editore puro” non esiste più o comunque si tratta di una specie in via di estinzione, da proteggere come il panda del Wwf. La maxi-fusione denominata “Stampubbli­ca”, sotto l’egida della Fiat, lo dimostra con la forza di un paradigma. E se un “presidente onorario” rivendica di essere lui “il padre del Jobs Act”, ammette un’interferen­za indebita che rischia di danneggiar­e la sua stessa azienda.

Anche noi giornalist­i, naturalmen­te, abbiamo i nostri difetti e le nostre colpe. E dobbiamo farne ammenda, per il rispetto dovuto ai lettori o telespetta­tori e ai colleghi più giovani che hanno tutto il diritto di difendere il proprio futuro. Protagonis­mo, opportunis­mo, narcisismo più o meno senile, mancanza di autonomia e indipenden­za di giudizio: così diventiamo complici degli editori “impuri” piegando spesso l’informazio­ne alle loro richieste ed esigenze, perfino a quelle implicite o inespresse.

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