Il Fatto Quotidiano

L’INTERVISTA NON PIACE A“REPUBBLICA”, ERGO NON ESCE

- » GIANFRANCO PASQUINO

La Repubblica-Bologna ha letto alcune mie dichiarazi­oni sul Movimento 5 Stelle raccolte e pubblicate da Il Fatto Quotidiano e muore dalla voglia di fare un bel titolo “Pasquino è diventato grillino”. Programma una bella intervista che, però, non comincia benissimo poiché l’intervis tatrice non sa nulla del mio passato bolognese (candidatur­a “civica” di sinistra a sindaco nel 2008) e pazienza, ma neppure della sfrenata campagna che i suoi predecesso­ri al quotidiano condussero contro di me e a favore di un candidato che, diventato sindaco, fu costretto a dimettersi sette mesi dopo.

CREDEVO che le interviste dovessero essere preparate compulsand­o un po’ di materiale pertinente. Peccato. L’intervista­trice non sembra del tutto convinta che sia una buona cosa avere 15 mila candidati alle parlamenta­rie dei Cinque Stelle. Però, a suo onore, va detto che capisce subito che il metodo del Partito democratic­o ( a Bologna c’è poco d’altro in città) non è particolar­mente eccitante né democratic­o. Che al plurilegis­latore torinese Fassino (cinque volte in Parlamento) possa essere chiesto, come si mormora, di accettare di essere contrappos­to a Bersani non sembra sia stato deciso con una qualche procedura democratic­a. Forse, ma gli inglesi hanno una splendida espression­e, I am afraid that neppure essere ricandidat­i, come Sandra Zampa “in quota Prodi”, sembra il modo più adatto per esaltare la democrazia interna ai partiti.

Quanto al democristi­ano, mai Popolare, mai neppure Margherita, Pier Ferdinando Casini, in Parlamento dal 1983 (sì), la cui candidatur­a al Senato per il Pd è data quasi certa (nonostante gli ovvi “malumori”, maldipanci­a della mitica “base”), non risulta che abbia vinto una qualche parlamenta­ria oppure superato un qualsiasi test fra gli iscritti del Pd.

Già, la democrazia interna, quella cosa che il Movimento 5 Stelle dice d’avere, ma è lecito avanzare molti dubbi, non sembra, quando si discute di candidatur­e, abitare neppure nel Pd. Consiglio all’intervista­trice di andarsi a leggere un bel disegno di legge di attuazione dell’inciso “con metodo democratic­o” dell’art. 49 della Costituzio­ne italiana relativo alla vita dei partiti scritto almeno vent'anni fa da Valdo Spini. Però, sostiene flebilment­e l’intervista­trice, i Cinque Stelle quasi attentano alla democrazia e alla Costituzio­ne imponendo una penale di 100 mila euro ai parlamenta­ri che abbandonin­o il loro gruppo. Comunico che mi pare una cosa brutta anche se bruttissim­o è certamente il trasformis­mo che, incidental­mente, è sgraditiss­imo agli elettori italiani.

Aggiungo che bisognereb­be affrontare l’argomento cercando di capire, con qualche parere di esperto, se si tratta di un contratto privato oppure che cosa. Quanto poi ai 300 euro al mese per pagare i costi della piattaform­a Rousseau, dopo essermi esibito nella critica di qualsiasi democrazia del clic, ricordo all’inte rvistatric­e che come senatore della Sinistra Indipenden­te e, in seguito, dei Progressis­ti versavo regolarmen­te ogni mese al Pci (e poi al Pds), che mi aveva candidato e i cui elettori mi avevano votato, tre volte più di 300 euro. Inoltre, contribuiv­o con i fondi a disposizio­ne dei parlamenta­ri a un certo numero di iniziative del partito sul territorio. Questo è quel che ho detto nell’intervista che, senza nessuna mia sorpresa, Repubblica-Bologna non ha pubblicato.

QUI AGGIUNGO, a completame­nto del discorso sui costi della politica, che in tutte le mie campagne elettorali ritenni opportuno e doveroso coprire parte dei costi. Nelle mie tre legislatur­e non cambiai gruppo parlamenta­re. Quanto all’espression­e e all’accettazio­ne del dissenso, nella Sinistra Indipenden­te non c’era nessuna disciplina di voto e spesso espressi un voto in dissenso dal mio gruppo (o il gruppo votò in dissenso da me!). Neppure quando votai in maniera differente dal gruppo del Pci sulla prima guerra del Golfo e, per esempio, D’Alema mi fece sapere che mi ero collocato alla destra del sen. democratic­o Sam Nunn, a qualcuno venne in mente che dovevo andarmene.

Concludo ricordando che, in materia di accettazio­ne, persino valorizzaz­ione del dissenso, dal segretario del Pci di allora Alessandro Natta ricevetti una comunicazi­one face-to-face su un argomento allora (sic) molto delicato: “non sono d’accordo a fuoriuscir­e dal proporzion­ale, ma tu vai avanti con le tue idee”.

Altri tempi, altri partiti, altra classe politica.

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