I romanzi storici parlano di oggi Siamo noi a non imparare mai
Ho sempre mal digerito le categorie strette in letteratura, quelle che racchiudono un genere entro limiti definiti, perché un atto creativo e spontaneo come la scrittura non ritengo possa essere catalogato. Si può distinguere nettamente la carne dal pesce, il vino dall’acqua, ma se parliamo di narrativa, al di là della definizione che ritroviamo nei libri del liceo, il discorso è diverso perché un’opera può essere carne e pesce insieme, acqua e vino e magari pure coca-cola. Il mio è il punto di vista di un medico veterinario con la passione per la scrittura e se penso al romanzo storico mi vengono subito in mente capisaldi come i Promessi Sposi di Alessandro Manzoni, considerato l’esempio italiano più eclatante.
RISULTA EVIDENTE come l’autore utilizzi i fatti storici per spiegarci le relazioni umane. Verissimo. Efficacissimo. Don Rodrigo è la metafora del potere arrogante esercitato contro ogni logica e per me è identico alle multinazionali che bombardano il mio Adriatico con l’air gun alla ricerca di mezzo litro di petrolio giovane e di pessima qualità, a discapito di Renzo e Lucia che spaesati dalle onde d’urto si arenano sulle coste daune. È una visione personale, mi rendo conto.
Nel mio romanzo, Castigo di Dio, ho cercato di usare la storia come tappeto e cielo, descrivendo tra le altre cose il mercimonio sessuale di bambini avvenuto a Bari nella prima metà degli anni quaranta. Oggi, nel 2018, esiste lo stesso identico mercimonio e se pur non si consuma in un palazzo fatiscente come quello che ho descritto, è semplicemente migrato attorno allo stadio San Nicola. La storia ci insegna e noi non vogliamo imparare e quegli stessi mostri, predatori pazienti, vampiri di futuro, popolano ancora il mondo, perché a loro basta allontanarsi sulla provinciale per lasciarsi alle spalle le proprie storture.
Il romanzo di taglio storico dovrebbe metterci in guardia e in effetti lo fa, perché tutto è ciclico nelle dinamiche umane e se penso al riemergere prepotente dei nazionalismi e degli estremismi mi prende lo sconforto, perché vuol dire che Curzio Malaparte “ha perso tempo” nello scrivere La Pelle o che Cristo si è fermato a Eboli avrebbe potuto proseguire in qualsiasi altra parte del mondo. Nei romanzi c’è la natura umana perfettamente spiegata e alcuni di questi hanno un non so ché di chiaroveggenza. Prendete 1984 di George Orwell. Pur non avendo propriamente quel sapore rappresentando un’allegoria, prevedeva fin dal 1948 cosa e come sarebbe diventata la società che osserviamo oggi. Certo il “grande fratello” non è un partito politico come nelle righe dell’autore, ma che si viva in un selfie dimostrativo perenne non me lo invento io. Basta aprire un social qualsiasi e si ha davanti agli occhi la versione aggiornata del capolavoro orwelliano. Perché l’importante è che il selfie, la finzione, sia venuto bene e chi se ne frega se poi la realtà è diametralmente opposta.
In Ci rivediamo Lassù di Pierre Lemaitre si ripete il modello e l’ufficiale di cavalleria Pradelle si arricchisce speculando sulle sepolture dei soldati caduti nella grande guerra, molestando con successo la moglie di ogni “amico”. L’autore concentra in un unico indecoroso personaggio tutta quella rete di mascalzonate e mascalzoni che regalarono alla Francia una clamorosa figuraccia nel 1922, e ci descrive un Harvey Weinstein decisamente più carino, ma ugualmente raccapricciante. In opposizione e per par condicio tutte quelle signorine che puntano sulla loro avvenenza per fare strada nelle vita, “scordando” che ci sono vie più meritocratiche e dignitose, non sono forse la Madame Bovary di Flaubert? E se l’autore in fin di vita ha pronunciato la seguente frase: “Io sto morendo, ma quella puttana di Emma Bovary vivrà per sempre” non intendeva esattamente questo?
E CHE DIRE di Anna Karenina di Lev Tolstoj, un compendio di pulsioni e compulsioni umane. Anna, suo marito, il suo amante, sua sorella sono personificazioni della fedeltà, del tradimento, del conflitto tra società agricola e società urbana, tra tradizione e progresso e il suicidio della protagonista una specie di passaggio di stato dalla decrepita alta società all’avvento della novella borghesia. E i conti tornano, perché il romanzo, soprattutto quello storico, per questo nasce e a questo serve. Ho sempre idolatrato John Fante, considerato l’antesignano della letteratura americana beat, e leggendo Dago redho sentito sulla mia schiena il disprezzo razzista che gli italiani pativano in America negli anni trenta, perché Fante sarà pure l’antesignano della beat , ma descrive quelle sensazioni che diventano romanzo storico, offrendoci un furibondo esempio di realtà che si perpetua. Il suo “mangiaspaghetti” di ieri è “l’immigrato bastardo” di oggi, è la ricerca della superiorità di qualcuno sulle spalle di qualcun altro. Sarà che la diversità spaventa e la consuetudine consola. Non saprei, ma pure fosse non impariamo mai e le soluzioni sono tutte già scritte. Basterebbe leggerle.
La profezia di “1984” Il “grande fratello” non è un partito politico, ma il selfie dimostrativo perenne sui social è la versione aggiornata del capolavoro orwelliano