DIRITTO DI REPLICA
Il Fatto Quotidiano ha pubblicato il 13 gennaio un articolo richiamando un esposto presentato dall’On. Zolezzi alla Corte dei Conti in merito al rapporto lavorativo instaurato dal Comune di Mantova con il signor Stefano Simonazzi. Se la notizia corrisponde al vero non resta che prendere atto che l’Onorevole ha (nuovamente) preso un granchio. Simonazzi Stefano è stato assunto con contratto a tempo determinato ai sensi dell’articolo 90 TUEL (uffici di supporto agli organi di direzione politica) inizialmente come collaboratore dello staff del sindaco e, successivamente, alla scadenza del contratto, con nuovo contratto come capo di gabinetto. Le delibera di conferimento di tale incarico (20 luglio 2017), così come quella di instaurazione del rapporto di lavoro (28 luglio 2016) hanno avuto parere tecnico favorevole del segretario generale dell’Ente, dei dirigenti del settore finanziario, nonché parere positivo dei revisori dei conti del Comune di Mantova.
La richiamata norma, anche nella interpretazione giurisprudenziale, non richiede la laurea e del resto nemmeno nel recente passato il capo di gabinetto era laureato. Preciso infine che lo stipendio annuo, al lordo delle ritenute previdenziali e fiscali, riconosciuto al signor Simonazzi è di 36.610 euro e non di 125.406 euro. Tale retribuzione è notevolmente inferiore allo stipendio dirigenziale, che l’articolo 90 consentirebbe. MATTIA PALAZZI Prendo atto della replica del sindaco che non fa che confermare i passaggi ricostruiti nell’articolo. I 125.406 euro non si riferiscono a un anno ma alla spesa complessiva da qui alla fine del mandato. Resta poi da capire la nomina di Simonazzi quando già c’era altra persona in quel ruolo. Per quanto riguarda il titolo di studio, il regolamento del Comune impone per quell’incarico una figura di dirigente per la quale è richiesta la laurea. Detto questo, ringrazio il sindaco per la sua replica. Attendiamo cosa deciderà la Corte dei conti. DAVIDE MILOSA Con riguardo all’articolo “Aumenti stellari ai caselli. Pendolari contro Delrio” l’Ufficio stampa del Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti precisa che le sentenze dei giudici contro il ricorso del gruppo Toto, e di altre società titolari di concessioni autostradali, hanno stabilito che andava corrisposto il mancato riconoscimento dell’adeguamento delle tariffe nei tre anni precedenti. Adeguamento che avviene in base a calcoli matematici. Le sentenze dei giudici si rispettano e si applicano. Una parziale applicazione equivale a una mancata applicazione. Riguardo il Piano economico finanziario presentato da Strada dei Parchi c’è già stato modo di chiarire che le proposte sono state con- siderate insoddisfacenti, perché ulteriormente penalizzanti nei confronti degli utenti. La mancata collaborazione, come ha detto il Ministro Delrio, insieme ai numerosi ricorsi di Strada dei Parchi, hanno poi determinato l’obbligo all’aumento delle tariffe. Il Ministero è ora impegnato per concludere nei prossimi giorni con la concessionaria il percorso per un nuovo Piano economico finanziario che possa, per il futuro, essere meno oneroso per i cittadini. Il Pef terrà conto dell’informativa presentata al Cipe il 22 dicembre che prevede un contributo statale per opere da realizzare in zona sismica e il confronto con Bruxelles riguarda anche questo nuovo accordo. Difficile sostenere che ci sia stato un diverso trattamento rispetto ad altre concessionarie. Si ricorda poi quanto avviato dal Ministro Delrio e dal Ministero nei giorni scorsi, con l’applicazione degli sconti per i pendolari sulla tariffa riconosciuta con risorse pubbliche. UFFICIO STAMPA MIT Concordo in pieno con il ministro Delrio: le sentenze dei giudici si rispettano e si applicano. Ma alle sentenze che impongono rincari stellari sulle autostrade, in particolare quelle del gruppo Toto e della valdostana Rav, non si sarebbe mai arrivati se Delrio avesse fatto il suo dovere di ministro e invece di mettere la testa sotto la sabbia ignorando il problema, avesse avviato trattative con i concessionari, disposti peraltro ad accettare anche meno della metà di ciò che alla fine hanno avuto in forza delle decisioni dei giudici. Per il resto, la precisazione del ministro affronta argomenti di cui non si parla nell’articolo del Fatto. DANIELE MARTINI