Lavoro dopo la crisi: più precarietà, più morti, più ansia
Ieri, dopo l’incidente in cui a Milano hanno perso la vita tre operai, l’Associazione Nazionale mutilati e invalidi del Lavoro (Anmil) ha diffuso i dati degli ultimi anni su decessi e infortuni. “Nel 2015 e 2016, a seguito dei primi segnali di ripresa produttiva, il calo degli infortuni ha cominciato a dare segni di un sensibile rallentamento finché nel 2017 ha iniziato, già dai primi mesi, una crescita via via più consistente che comunque si è attenuata nell’ultimo mese di novembre. Sulla base dei più recenti dati, relativi ai primi undici mesi del 2017 (rilevati dall’Open Data dell’Inail) gli infortuni sul lavoro sono aumentati dello 0,3% rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente ( circa 2.000 infortuni in più); l’incremento era stato molto più sostenuto nei mesi precedenti sfiorando il +2% e solo nell’ultimo mese, come detto, ha rallentato. Un percorso analogo si riscontra per le morti sul lavoro che erano scese dai 1.200 casi del 2008 a 1.170 nel 2014 per risalire a 1.286 nel 2015 e ridiscendere a 1.104 nel 2016. Nel 2017, infine, sempre con riferimento ai dati disponibili del periodo 1 gennaio-30 novembre, si assiste a una crescita dell’1,8% (17 casi in più)”.
Franco Bettoni, presidente dell’Anmil, ha ben spiegato come questi dati siano da leggere a fianco di quelli sull’andamento dell’economia e dell’occupazione. Dopo anni di calo, aumentano un po’ le ore lavorate e la produzione e con loro anche infortuni e morti: “L’evoluzione del fenomeno infortunistico nell’ultimo decennio si è sviluppata quasi perfettamente in linea con la dinamica economica appena esposta. Già da alcuni decenni il fenomeno infortunistico ha fatto registrare nel nostro Paese un calo continuo sia per gli infortuni che per le morti sul lavoro. Ma tale flessione si è notevolmente accentuata a partire proprio dal 2008 e fino al 2014, gli anni della crisi economica, di cui si è detto, e che, producendo un forte taglio di produzione e lavoro (sia in termini di occupati che di ore lavorate), ha ridotto l’esposizione al rischio, quindi gli infortuni stessi”.
IL 2008 È ANCHE L’ANNO in cui viene emanato il Testo Unico sulla sicurezza sul lavoro. Eppure sappiamo dall’encomiabile lavoro dell’Osservatorio indipendente di Bologna (che ha cominciato a tenere la sua tristissima contabilità nel 2008 dopo la tragedia ThyssenKrupp) che molte morti sarebbero evitabili, per esempio in edilizia indossando il casco protettivo. In questi dieci anni 13mila vite si sono spente sul luogo di lavoro: una strage. Tra il 2006 e il 2008 i due rami del Parlamento avevano, entrambi, un presidente “sindacalista” - Fausto Bertinotti a Montecitorio, Franco Marini in Senato - che si fecero portabandiera di una campagna sul tema delle “morti bianche”, spalleggiati anche da Giorgio Napolitano, non ancora ossessionato dalle riforme costituzionali. Ne uscirono, come detto, le nuove misure del Testo unico.
Dieci anni dopo dobbiamo constatare che i luoghi dove c’è maggiore occupazione sono i luoghi dove si verificano più morti. Intanto la sinistra di governo ha terminato l’opera che alla destra non era riuscita (si ricordi il Circo Massimo di Cofferati), smantellando le tutele con una picconata - simbolicamente violentissima - all’articolo 18. Vero, abbiamo recentemente scoperto che non era tutta farina del loro sacco e tra i suggeritori del “ragazzo dell’ascensore”, oltre a Confindustria e alla Bce, c’era Carlo De Benedetti. Morale: siamo usciti dalla crisi con meno tutele, più ansie e più morti. E per fortuna che la Repubblica è fondata sul lavoro.