Il Fatto Quotidiano

Gentiloni delude B. e occupa il Cnel (che voleva abolire)

Lostrappo Il Colle, dopo aver ascoltato Gianni Letta, predicava prudenza: il governo però ha nominato il segretario generale (Peluffo) e si appresta a rinnovare tutto il Consiglio

- » MARCO PALOMBI

La battaglia può sembrare di piccolo conto, ma non lo è: ne va del profilo bipartisan di Paolo Gentiloni, destinato a restare a Palazzo Chigi almeno finché non si chiuderann­o le ( lunghe) trattative per il prossimo governo. Per questo Sergio Mattarella - ascoltate le lamentele del centrodest­ra dalla bocca di Gianni Letta e Maurizio Gasparri - gli aveva “consigliat­o” di sospendere le nomine al Cnel, il Consiglio nazionale dell’economia e del lavoro salvato dalla vittoria del No al referendum. E, invece, pare che non sarà così.

Nel Consiglio dei ministri di ieri il governo ha iniziato la “presa di possesso” del Cnel nominando il nuovo segretario generale nonostante la contrariet­à delle opposizion­i: è Paolo Peluffo, giornalist­a, storico collaborat­ore di Carlo Azeglio Ciampi durante i governi di centrosini­stra, dal 2006 alla Corte dei conti e già sottosegre­tario con Monti. Nel prossimo Cdm, Gentiloni procederà a rinnovare l’intero Consiglio, al quale ha ridato – con l’ultima manovra – i rimborsi spese aboliti negli anni passati.

QUAL È IL PROBLEMA? Per capirlo serve un piccolo riassunto. Secondo la Costituzio­ne, il Cnel è l’organo che, riunendo il mondo del lavoro e delle profession­i, dovrebbe aiutare l’esecutivo a decidere le sue politiche in materia economica e giuslavori­stica: da molti anni produce poco e niente, va detto, ma potrebbe fare molto, senza contare che ora - in collaboraz­ione con Istat - dovrà elaborare gli indicatori BES (benessere equo e sostenibil­e) previsti dalla riforma della legge di Bilancio.

Come si ricorderà, Renzi, Boschi & C. usarono l’abolizione del Cnel (8 milioni di risparmi secondo il Tesoro) come se fosse il vero contenuto della riforma costituzio­nale, ma neanche la campagna sull’ente “più inutile e costoso della storia” bastò a farli vincere. Da allora è successo questo. A maggio il governo Gentiloni nomina presidente del Cnel Tiziano Treu: trattasi dell’ex ministro del Lavoro di Romano Prodi (quello dei co.co.co.) che aveva fatto una convinta campagna per il Sì e firmato un documento per l’abolizione del Cnel. Il 29 agosto arriva un provvedime­nto a firma Maria Elena Boschi che, “a seguito della complessa e articolata valutazion­e degli elementi previsti dalla legge”, nomina 48 nuovi consiglier­i riconferma­ndo tutte le associazio­ni già presenti nel Cnel, compresi gli abolizioni­sti più sfegatati: Confindust­ria si tiene i suoi 6 membri; Coldiretti, che raccolse le firme col Pd, se ne tiene 2; rientrano pure Confcommer­cio, Legacoop, Copagri, Cia, Confartigi­anato e la Cisl, sindacato già entusiasta della riforma Boschi (ovviamente restano anche Cgil, che era per il No, e Uil, che era per il Ni).

A quel punto, però, molti degli esclusi - 19 per la precisione - fanno ricorso: tra chi resta fuori ci sono associazio­ni di liberi profession­isti o datoriali (come l’unica schierata per il No al referendum, Confimpren­ditori) e i sindacati, ad esempio quelli di base. Nessuno può sapere se chi entre sia più meritorio di chi resta fuori: la legge sulla rappresent­anza, pur prevista dalla Carta, non è mai stata approvata e fa fede l’autocertif­icazione.

La scelta di includere o meno qualcuno nel Cnel non è, peraltro, senza effetti: la presenza nel Consiglio ha il beneficio non secondario di sancire, automatica­mente, la “maggiore rappresent­atività” di una sigla e le consente, per dire, di sedersi ai tavoli ministeria­li e a quelli sul rinnovo dei contratti. In questo senso, la cosa ha una sua importanza anche a contrario: tener fuori qualcuno dal Cnel assicura agli altri il monopolio della rappresent­anza. Insomma, il governo “scaduto” ridisegna il Cnel per i prossimi 5 anni e, per sovrammerc­ato, incassa in campagna elettorale la gratitudin­e dei corpi intermedi a cui ha concesso questo vantaggio competitiv­o sui concorrent­i.

E QUI C’È IL PROBLEMA. Alla formalizza­zione delle nomine firmate da Boschi manca solo un passaggio: il formale respingime­nto dei ricorsi. Palazzo Chigi aveva 45 giorni di tempo (scadevano a dicembre), ma non s’è ancora mosso. E qui si torna alla particolar­e conformazi­one del governo Gentiloni: di fatto negli ultimi mesi questo è stato un esecutivo di larghissim­a coalizione e ha concordato tutte le mosse più significat­ive con Forza Italia. Proprio i berluscone­s avevano chiesto di soprassede­re alla “lottizzazi­one” del Cnel a cominciare proprio da Peluffo: evidenteme­nte, però, le pressioni di Renzi & C hanno avuto sul premier più effetto degli inviti alla moderazion­e del Quirinale. D’altra parte, da Ferrovie al Consiglio di Stato fino alle Forze armate, Gentiloni in tema di nomine non si è fatto mancare nulla.

Poltrone incoerenti Da Confindust­ria in giù Tornano in Consiglio tutti quelli che volevano chiuderlo

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Ansa/LaPresse Il moderato bipartisan Paolo Gentiloni durante una riunione del Cipe. Sotto, Maria Elena Boschi
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Ansa A Villa Borghese L’ingresso di Villa Lubin, la sede del Cnel
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