Il Fatto Quotidiano

Provincia, amici, lavoro È tutto “Made in Italy”

- » SILVIA D’ONGHIA

Vent’anni sono tanti per ritrovare le parole perse, ma sedici forse sono troppi per rimettersi dietro a una macchina da presa. Il mondo, nel frattempo, è cambiato: i ragazzi più giovani non sanno nemmeno cosa siano gli anni Settanta di Radiofrecc­ia e la provincia, quella provincia così autentica e sana che si respirava tra le campagne di Correggio, è stata anch’essa travolta dal vento di malessere e di crisi che ha investito il Paese. E così il sogno di un domani migliore diventa la fotografia di una sconfitta generazion­ale che brucia anche sulla pelle di chi, come Riko, in fondo voleva soltanto una vita normale.

NEL NOVEMBRE 2016, quando Ligabue ha presentato l’album Made in Italy, era già chiaro che quel concept sarebbe diventato un film. La storia era già scritta, tanto che le riprese sono partite sei mesi dopo. Ancora una volta prodotto da Domenico Procacci e distribuit­o da Medusa, la pellicola sarà nelle sale con 400 copie da giovedì prossimo. Chi ha ascoltato l’album, sa già cosa andrà a vedere – e forse ne rimarrà un po’ deluso: Riko (Stefano Accorsi, ritrovato dal rocker-regista vent’anni dopo Radiofrecc­ia, formidabil­e ballerino davanti a una mortadella di 8 metri) è un operaio di mezz’età che vive nella casa costruita da suo nonno e ampliata da suo padre nei dintorni di Reggio Emilia. Lavora in un salumifici­o, ha un figlio che deve andare al Dams e un matrimonio in crisi con Sara (Kasia Smutniak, signora Procacci per le malelingue, una spanna sopra gli altri per la recitazion­e) che fa la parrucchie­ra. Riko e Sara frequentan­o gli stessi amici da sempre, esattament­e come Luciano Ligabue, che di secondo nome fa Riccardo, guarda caso, e che ha ripreso l’abitudine di incontrare la storica compagnia una volta a settimana in una villa affittata per l’occasione. “È una categoria di persone che nessuno racconta” spiega il musicista alla presentazi­one della pellicola. E allora si può dire che Riko è un po’l’ater ego di Luciano, ma è – nelle immaginari­e sliding

doors – quello che è entrato nella porta meno fortunata. “Da una decina d’anni provo un sentimento d’amore frustrato verso l’Italia – ancora Ligabue –, che nonostante tutti i suoi problemi resta il Paese più bello del mondo”. Così nel microcosmo reg- Il film Ligabue torna regista vent’anni dopo “Radiofrecc­ia” Il mondo nel frattempo è cambiato (e la freschezza si è persa) giano di Riko si inseriscon­o i mali di una generazion­e e pure quelli di un intero popolo: dalla perdita del lavoro al vizio del gioco, dalle parole fantasma come spreadalla falsità della stampa, dai figli perduti a quelli che non se ne vogliono andare, dai tradimenti ai genitori malati di Alzheimer. Forse un po’ troppo per una storia che vuole nascere particolar­e e che così, in centoquatt­ro minuti, non riesce ad approfondi­re tutti i temi. Ma forse non è questo che interessa al regista, bravo nel fotografar­e da vicino i volti e le espression­i dei suoi protagonis­ti, soprattutt­o laddove i dialoghi risultano un po’ forzati.

LA CHIAVE DEL FILM – così come dell’album – sta tutta in una frase che il migliore amico di Riko, Carnevale (interpreta­to dal bravo Fausto Maria Sciarappa), pronuncia al termine di una serata di carte e alcol: “Il mondo non fa poi così schifo. Se vuoi cambiare qualcosa, cambia prima te stesso”. “Il cambiament­o è una cosa che fa paura – spiega ancora Li- gabue –, perché si pensa possa portare brutte cose. Ma al cambiament­o non puoi opporti”. E così Riko decide di prendere in mano la sua vita, di cambiarla, dopo aver ricevuto una manganella­ta in testa da un poliziotto durante una cinematogr­aficamente improbabil­e manifestaz­ione a Roma per la difesa dell’articolo 18 (nel disco è la bella L’occhio del ciclone).

Non è tutto facile ciò che lo aspetta al rientro a Reggio, anzi, ed è vero che bisogna toccare il fondo per cominciare a risalire: “Per cambiare l’Italia dobbiamo cambiare noi – aveva detto nel 2016 il rocker – dobbiamo acquisire maggiore consapevol­ezza di noi stessi e nel nostro posto nel mondo. Il sistema che c’è lì fuori è ben radicato e, visti gli ultimi sviluppi, promette di peggiorare. Noi siamo vittime e complici”.

Sono passati i tempi di Radiofrecc­ia e pure quelli di Da

zero a dieci. Però, proprio come cantava in Ho perso le pa

role, Liga avrebbe forse dovuto crederci un po’ di più.

 ??  ?? Dopo il concept album Alla fine del 2016 è uscito l’omonimo album del rocker reggiano, che già conteneva la storia di Riko e Sara (Accorsi e Smutniak nel film )
Dopo il concept album Alla fine del 2016 è uscito l’omonimo album del rocker reggiano, che già conteneva la storia di Riko e Sara (Accorsi e Smutniak nel film )
 ??  ?? Made in Italy Luciano Ligabue
Made in Italy Luciano Ligabue

Newspapers in Italian

Newspapers from Italy