La grazia di Scalfari e il lifting morale di Silvio
Non bisogna fare colazione leggendo i giornali, specie in queste settimane di campagna elettorale: può capitare di tutto. Ieri per esempio il rischio che il caffè andasse di traverso era altissimo. Sui quotidiani era tutto un trionfo di B., volato a Bruxelles e ivi accolto come il figliol prodigo: un tempo unto dal Signore, ieri benedetto dai colleghi del Ppe. Roba che sembrava di essere tornati al liceo, catapultati in una versione di Cicerone-salvatore della patria. Gli effetti dell’indulgenza del Fondatore Scalfari verso l’ex Cavaliere non si sono fatti attendere. Tout est pardonné, signori. Dimenticate i girotondi, gli editoriali, dimenticate pure le sentenze, la questione morale con cui avete intrattenuto le vostre coscienze negli ultimi lustri.
SCHERZAVANO, era solo un passatempo della gauche caviar, mica ci sarete cascati. Silvio è tornato perché il lifting alla reputazione è riuscito meglio di quelli al viso. Sul Fatto di ieri, Massimo Fini metteva giustamente in guardia gli elettori sui rischi di un ritorno reale di B. al potere e al governo, ricordando la definizione data dai giudici: “Delinquente naturale”. Ma i guasti si vedono già, e sono quelli tipici di un Paese senza memoria, spudoratamente opportunista, allergico alle epurazioni (si veda quel che è accaduto, o meglio non accaduto, dopo la caduta del Fascismo) e incapace di rinnovarsi (si veda il post Tangentopoli). Oggi Berlusconi può andare in tv e chiamare “criminale” la sentenza che lo ha condannato per frode fiscale (reato, sia detto per inciso, commesso contro lo Stato anche nei periodi in cui era presidente del Consiglio) senza che nessuno batta ciglio; può tornare a raccontare la favoletta della discesa in campo per sconfiggere il lupo cattivo con la falce e martello, senza che gli vengano ricordate le sue dichiarazioni del tempo (“se non fossi sceso in politica mi avrebbero spedito in galera”) o l’amicizia con l’ex ufficiale del Kgb Putin; può perfino invocare una stretta sull’evasione fiscale “con pene severe come negli Stati Uniti” senza che l’intervistatore di turno obietti alcunché. Non necessariamente facendo notare la sfacciataggine poco rispettosa dei cittadini, ma con una semplice domanda, tipo “Pene più severe anche per la frode fiscale, reato per cui lei è stato condannato?”. E se perfino i più ostili tra gli avversari, i rivoluzionari col post-it del gruppo Espresso, lo possono riabilitare in vista di un pericolo più pericoloso, volete che gli ex cugini europei siano da meno? Archiviati i risolini di Angela&Nicolas, dimenticate le corna, gli insulti, i processi: via si volta pagina. Su Repubblicai titoli sono di questo tenore: “Berlusconi rassicura l’Europa: il premier lo sceglierò io”. Rassicura, capito? Un verbo piuttosto “rassicurante”, non c’è che dire. Specie su quel giornale: anche lì i lifting, e non solo quelli grafici, lasciano strascichi. Sul Corriere della Sera: “Silvio quel plaisir! Qui è casa tua. L’abbraccio di Juncker è una rivincita”. Perfino in francese glielo dicono, il guaio però è che sembra tutto normale anche in italiano.
Per anni ci hanno sfinito con la cantilena sul conflitto d’interessi di un politico che possedeva banche, assicurazioni, squadre di calcio, giornali e televisioni. Ora siamo in campagna elettorale, il momento in teoria più pericoloso da questo punto vista, e il conflitto d’interessi è evaporato in favore di ben altro spauracchio: il populismo. Ma dite: cosa c’è di più populista che prendere in giro il popolo?