La bolletta mensile è con il trucco: l’aumento non c’è ma si paga di più
La beffa è chiara: addio alla fatturazione a 28 giorni, ma il rincaro dell’8,6% resta
Chi pensava che la saga delle bollette a 28 giorni si fosse esaurita con la legge di Bilancio, che ha costretto i gestori telefonici a tornare alle tariffe mensili entro il 4 aprile (ma senza prevedere uno straccio di rimborso per i clienti che per anni si sono accollati il famigerato aumento dell’8,6%), ora dovrà ricredersi. Vodafone e Tim, i gestori che da soli si spartiscono il 60% del mercato italiano delle sim, hanno confermato ufficialmente quello che ormai era il segreto di Pulcinella: con il ritorno alla fatturazione mensile per i clienti privati con abbonamento mobile e residenziale non ci sarà lo sconto dell’8,6%. Questo tesoretto – che vale un miliardo di euro solo su rete fissa – resterà incorporato nella nuova tariffazione su 12 mensilità nonostante ci sia un canone in meno da pagare ogni anno. Con una doppia beffa: si continuerà a subire il rincaro e si spenderà di più per fare le telefonate, navigare in Internet o mandare gli sms dal momento che la quantità di traffico-voce e dati inclusi, che prima erano spalmati su 28 giorni, ora dovranno coprirne 31. Per ora solo Tim ha previsto un contentino aumentando in maniera proporzionale le quantità di minuti, giga-byte e sms.
Le compagnie, insomma, l’han- no studiata bene per non perdere i ricavi di un settore che, come abbiamo raccontato, consente loro di guadagnare 2 miliardi di euro dai soli costi nascosti, come il piano tariffario, il servizio “Ti ho cercato” o la segreteria telefonica. E, soprattutto, guai a chiedere ai big telefonici se la decisione di aumentare l’importo mensile dell’8,6% “sia da considerarsi una scorrettezza, facendo passare la linea che – denuncia l’Unione Nazionale Consumatori – è tutta colpa di una legge e non di una scelta autonoma delle società”. “Non c’è nessuna invarianza della spesa: la cifra complessiva sarà la stessa solo ripartita diversamente”, ci risponde Tim. Sì, è vero. Non si tratta di un nuovo aumento ma, ancora una volta, i clienti si ritroveranno in un mercato bloccato dove è quasi impossibile sfruttare la concorrenza se tutti i gestori applicano le stesse tariffe. Ed è su questo principio che alcuni parlamentari Pd hanno presentato un esposto ad Agcom e Antitrust “in modo da impedire che le compagnie facciano cartello e aumentino le tariffe a totale discapito di consumatori ignari dei loro giochetti”.
A POCHE ORE dalla comunicazione di Tim, anche Wind e Tre hanno annunciato le modifiche delle condizioni contrattuali. Ma non si tratta di un caso: è una costrizione. Entro le prossime ore, infatti, con due mesi di anticipo, tutte le compagnie dovranno dirci dell’aumento a causa di un nuovo obbligo imposto dall’Agcom. Una delibera del 19 gennaio ha imposto loro di comunicare “le variazioni contrattuali in maniera chiara e trasparente con almeno due mesi di anticipo rispetto al momento della modifica” e non più entro un mese come accaduto fino a ora. Restano, invece, invariate le modalità di recesso gratuite previsto (si può passare a un altro operatore senza penali entro 30 giorni dalla ricezione della comunicazione), fermo restando che si trovi un gestore che abbia cancellato l’aumento dell’8,6%. della possibilità di fare più deficit. Secondo gli autori, se gli scoraggiati partecipassero al mercato del lavoro, anche il Pil potenziale sarebbe innalzato, e con esso il margine di deficit strutturale consentito al governo.
Sì, ma come riportare gli scoraggiati nel mercato del lavoro? Secondo i due economisti di Roma Tre, “Ciò potrebbe essere favorito da un sussidio ( da distinguere da quello di diso cc up az ione) che li s pi ng e re bb e a cercare attivamente lavoro iscrivendosi ai centri per l’impiego e f r e q ue n t a ndo corsi di formazione”.
Non viene dettagliato di che corsi di formazione dovrebbe trattarsi e quale prospettiva di occupabilità i medesimi potrebbero produrre, ma non siamo pignoli.
Segue quantificazione del maggiore margine di deficit che l’operazione consentirebbe, in quello che gli autori definiscono “un semplice esercizio di statica comparata”, cioè tenendo fermi i parametri usati per le stime del 2016. Ipotizzando un milione di scoraggiati “riattivati”, si potrebbero fare altri 19 miliardi di deficit. I miliardi di deficit in più salirebbero a 38 e 55 se nella forza lavoro rientrassero rispettivamente in due o tre milioni. In Italia oggi abbiamo circa 3,2 milioni di persone in queste condizioni, le cosiddette “forze di lavoro potenziali”. Una vera cornucopia di flessibilità, cioè di deficit. I due autori osservano che questa maggiore flessibilità servirebbe a ripagare ampiamente il reddito di cittadinanza pentastellato, definito più correttamente “reddito minimo condizionato”. In omaggio, ci sarebbero pure 4 miliardi di euro aggiuntivi per integrare la lotta alla povertà. E vissero tutti felici e contenti, grazie a questa poderosa macchina del moto perpetuo.
Basta pagare gli scoraggiati per iscriversi al collocamento e frequentare questi taumaturgici corsi di formazione, ed ecco tanti bei soldini a deficit, che magari verrebbe ripagato
I punti oscuri
A parte le reazioni di Bruxelles, ci sono molte incognite sui corsi di formazione e sugli effetti della contrattazione collettiva
dalla poderosa crescita di consumi e investimenti indotta dal reddito di cittadinanza e dalla ritrovata occupazione degli ex inattivi. È l’uovo di Colombo, un capolavoro di reverse engineering: ridurre “per legge” (e sussidio) gli scoraggiati e sperare che i medesimi riescano a reimpiegarsi, grazie a collocamento e formazione. Il problema è che nulla, ma proprio nulla, garantisce che le cose andrebbero in questi termini. Senza ignorare, a differenza di quanto pare facciano gli autori, che sul tasso di disoccupazione e sull’isteresi pesano anche gli effetti della contrattazione collettiva, che “protegge” gli insider a danno degli outsider, e i costi di ricerca e incrocio di domanda e offerta dei profili professionali ( se ar ch e m ismatch). Ma forse i due economisti di Roma Tre sono convinti che gran parte di questi effetti avversi sarebbero riassorbiti grazie all’accoppiata vincente collocamento e formazione. Sognare non allarga il deficit, dopo tutto.