Il Fatto Quotidiano

La bolletta mensile è con il trucco: l’aumento non c’è ma si paga di più

La beffa è chiara: addio alla fatturazio­ne a 28 giorni, ma il rincaro dell’8,6% resta

- » PATRIZIA DE RUBERTIS

Chi pensava che la saga delle bollette a 28 giorni si fosse esaurita con la legge di Bilancio, che ha costretto i gestori telefonici a tornare alle tariffe mensili entro il 4 aprile (ma senza prevedere uno straccio di rimborso per i clienti che per anni si sono accollati il famigerato aumento dell’8,6%), ora dovrà ricredersi. Vodafone e Tim, i gestori che da soli si spartiscon­o il 60% del mercato italiano delle sim, hanno confermato ufficialme­nte quello che ormai era il segreto di Pulcinella: con il ritorno alla fatturazio­ne mensile per i clienti privati con abbonament­o mobile e residenzia­le non ci sarà lo sconto dell’8,6%. Questo tesoretto – che vale un miliardo di euro solo su rete fissa – resterà incorporat­o nella nuova tariffazio­ne su 12 mensilità nonostante ci sia un canone in meno da pagare ogni anno. Con una doppia beffa: si continuerà a subire il rincaro e si spenderà di più per fare le telefonate, navigare in Internet o mandare gli sms dal momento che la quantità di traffico-voce e dati inclusi, che prima erano spalmati su 28 giorni, ora dovranno coprirne 31. Per ora solo Tim ha previsto un contentino aumentando in maniera proporzion­ale le quantità di minuti, giga-byte e sms.

Le compagnie, insomma, l’han- no studiata bene per non perdere i ricavi di un settore che, come abbiamo raccontato, consente loro di guadagnare 2 miliardi di euro dai soli costi nascosti, come il piano tariffario, il servizio “Ti ho cercato” o la segreteria telefonica. E, soprattutt­o, guai a chiedere ai big telefonici se la decisione di aumentare l’importo mensile dell’8,6% “sia da considerar­si una scorrettez­za, facendo passare la linea che – denuncia l’Unione Nazionale Consumator­i – è tutta colpa di una legge e non di una scelta autonoma delle società”. “Non c’è nessuna invarianza della spesa: la cifra complessiv­a sarà la stessa solo ripartita diversamen­te”, ci risponde Tim. Sì, è vero. Non si tratta di un nuovo aumento ma, ancora una volta, i clienti si ritroveran­no in un mercato bloccato dove è quasi impossibil­e sfruttare la concorrenz­a se tutti i gestori applicano le stesse tariffe. Ed è su questo principio che alcuni parlamenta­ri Pd hanno presentato un esposto ad Agcom e Antitrust “in modo da impedire che le compagnie facciano cartello e aumentino le tariffe a totale discapito di consumator­i ignari dei loro giochetti”.

A POCHE ORE dalla comunicazi­one di Tim, anche Wind e Tre hanno annunciato le modifiche delle condizioni contrattua­li. Ma non si tratta di un caso: è una costrizion­e. Entro le prossime ore, infatti, con due mesi di anticipo, tutte le compagnie dovranno dirci dell’aumento a causa di un nuovo obbligo imposto dall’Agcom. Una delibera del 19 gennaio ha imposto loro di comunicare “le variazioni contrattua­li in maniera chiara e trasparent­e con almeno due mesi di anticipo rispetto al momento della modifica” e non più entro un mese come accaduto fino a ora. Restano, invece, invariate le modalità di recesso gratuite previsto (si può passare a un altro operatore senza penali entro 30 giorni dalla ricezione della comunicazi­one), fermo restando che si trovi un gestore che abbia cancellato l’aumento dell’8,6%. della possibilit­à di fare più deficit. Secondo gli autori, se gli scoraggiat­i partecipas­sero al mercato del lavoro, anche il Pil potenziale sarebbe innalzato, e con esso il margine di deficit struttural­e consentito al governo.

Sì, ma come riportare gli scoraggiat­i nel mercato del lavoro? Secondo i due economisti di Roma Tre, “Ciò potrebbe essere favorito da un sussidio ( da distinguer­e da quello di diso cc up az ione) che li s pi ng e re bb e a cercare attivament­e lavoro iscrivendo­si ai centri per l’impiego e f r e q ue n t a ndo corsi di formazione”.

Non viene dettagliat­o di che corsi di formazione dovrebbe trattarsi e quale prospettiv­a di occupabili­tà i medesimi potrebbero produrre, ma non siamo pignoli.

Segue quantifica­zione del maggiore margine di deficit che l’operazione consentire­bbe, in quello che gli autori definiscon­o “un semplice esercizio di statica comparata”, cioè tenendo fermi i parametri usati per le stime del 2016. Ipotizzand­o un milione di scoraggiat­i “riattivati”, si potrebbero fare altri 19 miliardi di deficit. I miliardi di deficit in più salirebber­o a 38 e 55 se nella forza lavoro rientrasse­ro rispettiva­mente in due o tre milioni. In Italia oggi abbiamo circa 3,2 milioni di persone in queste condizioni, le cosiddette “forze di lavoro potenziali”. Una vera cornucopia di flessibili­tà, cioè di deficit. I due autori osservano che questa maggiore flessibili­tà servirebbe a ripagare ampiamente il reddito di cittadinan­za pentastell­ato, definito più correttame­nte “reddito minimo condiziona­to”. In omaggio, ci sarebbero pure 4 miliardi di euro aggiuntivi per integrare la lotta alla povertà. E vissero tutti felici e contenti, grazie a questa poderosa macchina del moto perpetuo.

Basta pagare gli scoraggiat­i per iscriversi al collocamen­to e frequentar­e questi taumaturgi­ci corsi di formazione, ed ecco tanti bei soldini a deficit, che magari verrebbe ripagato

I punti oscuri

A parte le reazioni di Bruxelles, ci sono molte incognite sui corsi di formazione e sugli effetti della contrattaz­ione collettiva

dalla poderosa crescita di consumi e investimen­ti indotta dal reddito di cittadinan­za e dalla ritrovata occupazion­e degli ex inattivi. È l’uovo di Colombo, un capolavoro di reverse engineerin­g: ridurre “per legge” (e sussidio) gli scoraggiat­i e sperare che i medesimi riescano a reimpiegar­si, grazie a collocamen­to e formazione. Il problema è che nulla, ma proprio nulla, garantisce che le cose andrebbero in questi termini. Senza ignorare, a differenza di quanto pare facciano gli autori, che sul tasso di disoccupaz­ione e sull’isteresi pesano anche gli effetti della contrattaz­ione collettiva, che “protegge” gli insider a danno degli outsider, e i costi di ricerca e incrocio di domanda e offerta dei profili profession­ali ( se ar ch e m ismatch). Ma forse i due economisti di Roma Tre sono convinti che gran parte di questi effetti avversi sarebbero riassorbit­i grazie all’accoppiata vincente collocamen­to e formazione. Sognare non allarga il deficit, dopo tutto.

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Ansa Presi in giro Beffa per i clienti: finita la bolletta a 28 giorni, restano gli aumenti sulle bollette telefonich­e
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