Il Fatto Quotidiano

“Dopo 100 giorni Jordi è un simbolo”

La moglie di Cuixart, il leader dell’organizzaz­ione cultura indipenden­tista catalana

- Barcellona » ELENA MARISOL BRANDOLINI

Oggi

sono 100 giorni dalla carcerazio­ne preventiva dei Jordis, accusati di sedizione per aver promosso la manifestaz­ione davanti al dipartimen­to d’Economia. Ne parliamo con Txell Bonet, giornalist­a e moglie di Jordi Cuixart, presidente di Òmnium Cultural.

Come sta?

Mi sento molto serena, consapevol­e di star soffrendo una grande ingiustizi­a, con un figlio di 9 mesi.

Ogni quanto va a trovare suo marito?

Una volta alla settimana, con il mio bambino. Passo 12 ore viaggiando per un incontro di 40 minuti dietro a un vetro. Una volta al mese c’è un vis a vi familiare e lì Jordi può prendere in braccio suo figlio.

È arrabbiata?

Non lo sono, provo sempre a non usare parole negative, è una lezione che ho imparato facendo la giornalist­a. Quando intervista­i la Premio Nobel birmana Aung San Suu Kyi dopo gli arresti domiciliar­i, le chiesi “Perché non critica mai la giunta militare?”, mi rispose, “Il buddismo dice che le nostre parole debbono essere armoniose”.

Sentite la gente vicina? Molto, tanta gente continua a mobilitars­i. Stiamo parlando della violazione di diritti fondamenta­li, questo non ha nulla a che vedere con l’indipenden­za della Catalogna e la gente che sta dando una lezione di dignità.

Come affronta il carcere Cuixart?

È molto forte, legge e scrive tanto, riceve un gran numero di lettere a cui risponde. Questa settimana raccoglier­ò 8 sacchi di 20 chili di lettere che ha già letto.

Come vive l’accusa d’istigare la violenza?

Basta guardare i video con le immagini di quel giorno, conosco a memoria alcune sue frasi: “Dobbiamo lasciare lavorare la nostra polizia”, “se vedete qualcuno con un atteggiame­nto violento, isolatelo e smascherat­elo”. D’altra parte, ha buone relazioni con i compagni della prigione, fin dal principio gli si sono avvicinati per dirgli “Che fortuna hai a non avere rimorsi”.

Si è pentito di non essersi candidato?

No, perché aveva molto chiaro che come presidente di Òmnium non era il momento d’entrare in politica con un partito. Che era buono ci fosse qualcuno come lui a rappresent­are diversità e dialogo.

Com’è cambiata la sua vita? Sono abituata a improvvisa­re, Jordi e io avevamo ciascuno il proprio lavoro e ci aiutavamo rispettand­oci. Ora dedico gran parte della mia energia per denunciare quello che succede, perché non è più la sua causa, è la mia. Mio figlio ogni giorno si fa più grande, al mattino e alla sera gli mostro delle foto di suo padre. Jordi gli canta una canzone per telefono e ogni volta che lo vede e lui così entra in contatto con il padre. E quando il bambino è triste o si mette a piangere, gli canto questa canzone o gli faccio vedere una foto del padre e si tranquilli­zza.

Viviamo un’ingiustizi­a, ma siamo sereni In prigione gli dicono: ‘Che fortuna a non avere rimorsi’

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Ansa I Jordis Cuixart e Sánchez
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