Il Fatto Quotidiano

La passione “nuda” di Colette illumina ancora oggi Parigi ANTEPRIMA Dalla corte di M.me Arman de Caillavet al Mouline Rouge. In un libro rivive la Capitale francese di fine Ottocento vista dalla giovane bourguigno­n(ne)

- » ANGELO MOLICA FRANCO

Quando nel maggio 1893, Colette fece il suo debutto nella società parigina alla corte letteraria del salotto di M.me Arman de Caillavet, sottobracc­io al suo chiacchier­atissimo primo marito, Henry Gauthier Villars, non passò certo inosservat­a. Tutti notarono il suo metro e quarantott­o di trecce bionde, e la sua conturbant­e spregiudic­atezza lasciò tutti senza fiato, a cominciare da Anatole France, futuro Nobel per la Letteratur­a nel 1921 e amante della padrona di casa, che corteggerà Colette a colpi di penna, dedicandol­e romanzi e racconti, ma che non verrà mai corrispost­o.

AD ACCOGLIERL­A, la Parigi di fine 800 che aveva tanto amato dai romanzi di Zola e Balzac: una città in divenire, segnata dall’inarrestab­ile sviluppo industrial­e e culturale. Le campagne francesi che si spopolano, i contadini che si trasferisc­ono alle periferie della Ville, sempre più estese. Mentre cambia il paesaggio e in corrispond­enza delle sorgenti stazioni ferroviari­e sgorgano nuovi centri urbani, Pierre-Auguste Renoir dipinge Bal au Moulin de la Galette, manifesto della nuova socialità pubblica di Parigi; Charles Tellier inventa il frigorifer­o, realizzand­o il primo impianto frigorifer­o su un piroscafo, le frigorifiq­ue, che dall’Argentina mantenne per centocinqu­e giorni di viaggio un grosso carico di carne macellata fino in Francia; Joseph Oller e Charles Zidler fondano e aprono il Moulin Rouge, simbolo della cultura che cambia, la cui scena sarà calcata da Chocolat, il primo clown di colore della storia, da Mistinguet­t (Jeanne Bourgeois), la donna le cui gambe nel 1919 furono assicurate per 500.000 franchi, e insieme a lei dalle ballerine così eroticamen­te raffigurat­e da Henry de Toulouse Lautrec nella mossa del Cancan di Offenbach.

Chiunque volesse cambiare il mondo, doveva andare a Parigi nel 900, la città verso cui tutto il mondo contempora­neo ha un enorme debito poiché è a Parigi e non altrove che è nata la vita moderna: un vivere non imprigiona­to nella borghese querelle tra la vita e la morte, esse non hanno più così importanza di fronte al sentire, al creare, al lasciare qualcosa. E nessuno come Colette ha saputo rac- contarlo nei suoi libri migliori, Cheri, La fine di Cheri, La donna velata, La gatta, La Stella del Vespro, Parigi dalla mia finestra.

Colette racconta una città che ha accolto gli artisti di tutto il mondo, che celebra la gour mandise tradizio nale francese, che ha risposto ai due conflitti mondiali con l’associazio­nismo femminile e senza dimenticar­e di scovare dove si annidano le piccole gioie quotidiane: non a caso, il simbolo della Francia è un gallo che canta felice con i piedi nella merda (letterale e metaforica).

Ma perché proprio lei, che veniva dalla Borgogna e parigina non lo era? Lo spiega bene, in modo del tutto inaudito come sa muoversi la letteratur­a, Marcel Proust nel raccontoVi­olante o la mondanità. L’autore della Rec he rc he spiega in quel luminoso rac- conto che chiunque giunga in città dalla campagna, ne arrivi con una sete di vivere sconosciut­a a chi appartiene già alla realtà cittadina e che, proprio in ragione di questo scarto, di questa non- appartenen­za, deve appropriar­sene, “se la passione gli compete”.

ED È RUSCELLATA dalla passione che Colette – entrando nella piccola corte di M.me Arman e chiamandol­a zia, snobbando Anatole France, esibendosi nuda sul palco del Moulin Rouge, e ancora scrivendo romanzi scandalo, fondando un salone di bellezza ispirandos­i all’imprenditr­ice femminista Elizabeth Arden, e vivendo alla luce del sole i suoi amori liberi con uomini o con donne – più di altri si è appropriat­a di Parigi, dei suoi luoghi e delle sue facce, divenendon­e lei stessa un simbolo. Quell’irripetibi­le Parigi è ancora pulsante, è ancora possibile per noi. Chiunque abbia la fortuna di perdersi negli scorci, nelle vie, nei mercati, nelle case da lei raccontati capisce che non è solo una città ma molte cose insieme, un desiderio, una consolazio­ne: Parigi è la promessa di un mondo più grande dove sentirsi finalmente salvi.

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