Il Fatto Quotidiano

“Il calcio bisogna insegnarlo con partecipaz­ione e dolcezza”

Lettere tra Azeglio Vicini e Agostino Di Bartolomei

- » LUCA DI BARTOLOMEI

Azeglio Vicini è stato, insieme con Liedholm, un maestro per Agostino. L’unica volta che ricordo di averlo incontrato fu un pomeriggio, su di un campo di allenament­o. Non ne sono certo ma credo fosse Coverciano. Probabilme­nte in occasione di un evento della Rai che precedeva la grande euforia delle “notti magiche”. Quando mi raggiunser­o insieme io ero seduto su di un pallone a guardare i giocatori. “Non devi sederti sul pallone. Perché se no diventa ovale e poi quando calci non colpirai bene la sfera”. Non ricordo altro. Mio padre probabilme­nte sorrise sarcastico avendo già scorto, nei piedi del figliolo, un prossimo talento per il curling.

MI CAPITÒ di rincontrar­e Mister Vicini solo molti anni dopo, quando nel 2010 mi trovai a rimettere a posto un po’ dei maniacali appunti di Agostino. In quegli scatoloni, fra le mille cose che uscirono fuori insieme alle bozze de Il Manuale del Calcio, dormiva un loro lungo carteggio: sportivo ed umano. Credo fossero più di 100 lettere che andavano dalla metà degli anni 80 al 91 o giù di lì. Rigorosame­nte scritte a mano. Quanto mi colpì questo che poi è tutto fuorché un particolar­e. La carta, la penna, l’impegno verso una certa calligrafi­a tale da non costringer­e l’interlocut­ore ad uno sforzo eccessivo. Tutto rimandava a quanto poi avrei trovato in quelle righe: un utilizzo soppesato delle parole. Il ragionamen­to razionale applicato a fatti di calcio e non: metrica di un gioco che viveva su un foglio ripiegato e spedito.

Stiamo parlando di poco più di trenta anni fa e di due uomini che pure avevano possibilit­à di sentirsi e vedersi abbastanza agevolment­e. Ho passato una notte e un giorno a leggerle. Con quella carta ingiallita e lievemente umida era come se donasse a quelle parole una consistenz­a speciale. C’era qualcosa fra i due oltre a una evidente stima profession­ale.

L’impression­e era che Vicini volesse mettere ognuno dei suoi ragazzi a suo agio: come se costruire un legame empatico fosse un viatico per intendersi meglio sul campo da gioco. Credo che tutti, fra i tifosi e gli addetti ai lavori, ne abbiano ammirato il bel calcio ma ancor di più la maieutica sportiva: “… bisogna insegnare il calcio con parteci- pazione e dolcezza”. Sarà questa l’unica riga che mi vedrà violare la riservatez­za che si deve a un rapporto epistolare. Nella quotidiana fiera dell’egocentris­mo pallonaro oggi una frase così faccio fatica persino ad immagi-

Seppellite tra i tanti appunti

Più di 100 scritti dalla metà degli anni 80 al 91. Oltre alla stima, Vicini voleva costruire un legame empatico con ognuno dei suoi

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Il centrocamp­ista durante la partita del 15 maggio ‘83
Ansa Roma-Torino Il centrocamp­ista durante la partita del 15 maggio ‘83

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