La rivoluzione capovolta contro l’Europa
Se il progetto europeo è così impopolare, la colpa non è dei populisti ma di chi ha promesso libertà, uguaglianza e cooperazione e poi ha governato assecondando iniquità, lavoro precario ed egoismi privati
partire dalla caduta del muro di Berlino, sono stati gli ideali liberali a determinare l’ordine politico in Europa. I partiti che mettevano in discussione il libero commercio e la separazione dei poteri ottenevano di rado molti voti. La tolleranza religiosa e culturale era la norma. L’Unione europea non era vista solo come una fonte di ricchezza, ma anche come una potenza etica capace di diffondere le norme liberali nel mondo. Questa epoca sta finendo. Gli ideali liberali ora sono sotto attacco da Helsinki ad Atene.
CI SONO MOLTE varianti locali di questa rivolta anti-liberale: il populismo non è confinato a Ungheria, Grecia e Polonia. Nigel Farage e il suo partito populista Ukip hanno trionfato al referendum sulla Brexit. Il Partito della Liberà in Austria, diventato celebre ai tempi del suo leader Jörg Haider, è entrato in un governo di coalizione. Il Movimento Cinque Stelle potrebbe vincere le elezioni in Italia e i populisti della Lega Nord possono dominare un governo di centrodestra. Anche nella prospera Germania i nazionalisti di Alternativa per la Germania sono riusciti a entrare nel Bundestag. E non scordiamo che l’ispirazione per questa ondata anti-liberale arriva dagli Stati Uniti e dal presidente Donald Trump.
Alcuni liberali sono riusciti a rimanere al potere, certo, ma soltanto abbracciando una versione soft del populismo. Mark Rutte in Olanda se l’è presa con i migranti. Emmanuel Macron in Francia ha massacrato i partiti tradizionali e in Gran Bretagna Theresa May ha sposato la Brexit. I liberali dovrebbero accontentarsi che i populisti soft prevalgono su quelli estremisti?
Andiamo al nucleo del problema: i populisti non guadagnano voti perché hanno leader carismatici e programmi accattivanti, ma perché i liberali hanno completamente screditato il loro nobile pro- getto. Hanno trasformato lo splendido acquario del liberalismo in una zuppa di pesce. Ed è difficile tornare indietro.
LA LISTA DELLE COLPE dei liberali dal 1989 è lunga. Le disuguaglianze sono drammaticamente cresciute durante l’età liberale, l’evasione fiscale si è diffusa, i tagli alla spesa sociale sono ben noti. E questo è successo anche nelle “tigri economiche” dell’Europa. Il Pil della Polonia è cresciuto del 20 per cento nell’ultimo decennio eppure la Polonia è ancora campione di precariato, basti pensare ai contratti a zero ore che non danno ai dipendenti praticamente alcuna sicurezza o beneficio di welfare. Nei Paesi ad alto debito dell’Europa del Sud l’esplosione di povertà e disoccupazione in questi ultimi anni rendono ridicoli gli ideali liberali di libertà economica.
L’integrazione europea è sempre stata la punta più avanzata del progetto liberale, fonte di prosperità e collaborazione. Eppure negli ultimi anni è diventata simbolo di austerità, stagnazione e conflitto. L’euro, nato per integrare l’Europa, ha ottenuto il risultato opposto: ha esacerbato le differenze e gli scontri tra Paesi in deficit e Paesi in surplus. Il sistema di Schengen doveva garantire un sistema efficace ed etico per gestire le migrazioni, ma ha portato all’esito contrario. La persona che più incarna il problema dell’elusione fiscale, Jean Claude Juncker, guida la Commissione europea e un uomo di Silvio Berlusconi è a capo del Parlamento europeo, Antonio Tajani. Con liberali di questo tipo, l’Ue non può certo programmare la riscossa.
La libertà non può prevalere in un’atmosfera di odio e vendetta verso gli avversari politici. I liberali dovrebbero cercare di recuperare gli elettori perduti invece di accusarli di essere impazziti e manipolati. La democrazia non è al sicuro quando viene messa in dubbio la saggezza delle scelte elettorali.
NEGLI ULTIMI ANNI il liberalismo è diventato l’ideologia del potere e della forza. Molti sono saliti sul carro del liberalismo e ne hanno stravolto le idee: hanno anteposto la libertà all’uguaglianza, i beni economici a quelli politici, i valori privati ai valori pubblici. La libertà è stata garantita solo a pochi, di solito quelli con i passaporti e le carte di credito giuste. Queste priorità vanno ribaltate o il liberalismo morirà.
Non sto proponendo l’equivalente moderno della presa del Palazzo di inverno applicata a Canary Wharf a Londra a o La Défense a Parigi. Vorrei solo esortare i liberali a fermare o addirittura invertire le loro politiche di liberalizzazione e privatizzazione. Chi ha i soldi – spesso soldi virtuali – non deve sentirsi libero di abusare dei lavoratori, danneggiare l’ambiente e appropriarsi di una identità culturale che è di tutti. Questi soggetti dovrebbero essere adeguatamente tassati e rispondere delle loro azioni quando violano le regole. Le aziende dovrebbero avere rappresentanti dei lavoratori nei loro consigli di amministrazione. Il salario minimo universale va sperimentato in modi meno timidi e una certa dose di sharing economy va incoraggiata. La Tobin tax sulle transazioni finanziarie è da introdurre, così come varie forme di valute parallele e “banche del tempo”. Alcuni di questi esperimenti falliranno. Ma è meglio provare e fallire che rassegnarsi ad accettare che le ingiustizie economiche continuino.
Nessuna democrazia è al sicuro quando viene messa in dubbio la saggezza delle scelte elettorali