Il Fatto Quotidiano

Maldive, viaggio nell’arcipelago di droga&Sharia

Maldive Dietro le recenti tensioni c’è anche la condizione di sfruttamen­to di gran parte della popolazion­e intrappola­ta tra sharia islamica e diritti ridotti all’osso

- ▶ BORRI, VALDAMBRIN­I

Quanti di noi direbbero che le Maldive sono un paese musulmano? E invece, in rapporto alla popolazion­e, sono anche il paese non arabo con il più alto numero di foreign fighters. Tutti abbiamo un amico, un cugino che è stato alle Maldive: qui tutti hanno un amico, un cugino che è stato in Siria. Ma in fondo, all’aeroporto la sala arrivi è in realtà un’altra sala partenze: si atterra, e ci si imbarca subito per una delle isole riservate agli stranieri. Per noi le Maldive sono un arcipelago di 1.192 isole: ma per i maldiviani, sono un’isola sola: Male. La capitale. Qui tutto è concentrat­o nei suoi 5,8 chilometri quadrati. Uffici, ospedali, negozi. Scuole. Banche. E circa 250 mila persone: Male è una delle città più sovraffoll­ate del pianeta. Si vive pressati in queste case minuscole e scalcinate, buie, umide, sature di caldo e sudore, in dieci in due stanze: e cioè si vive per strada, perché poi, in spazi così ristretti, tutto è un inferno – le Maldive sono il paese con il più alto tasso di divorzi. E dal momento che l’Islam vieta l’alcol, sono anche il paese con uno dei più alti tassi di eroinomani: il 44 percento degli abitanti ne ha uno in casa. “Perché se non puoi cambiare la tua vita”, mi dice un ragazzo, “non ti resta che dimenticar­la”.

HA 31 ANNI, si chiama Kinan. Ed è uno dei nomi più noti, e temuti, della criminalit­à di Male. Il principale datore di lavoro delle Maldive. Perché nei resort, in realtà, sono tutti stranieri: non solo i clienti. “I camerieri, i cuochi, ormai sono tutti del Bangladesh, sono tutti immigrati per cui cento dollari al mese sono una fortuna”, dice. “Mentre per i ruoli a contatto con i turisti, vogliono solo occidental­i. Solo bianchi”. I 3,5 miliardi di dollari l’anno del turismo finiscono in larga parte a cinque, sei affaristi con solide amicizie in Parlamento. Agli altri, non restano che gli spiccioli. Mance, letteralme­nte. Male è spartita tra una trentina di gang: ognuna legata a un certo deputato, a sua volta legato a un certo imprendito­re. “Siamo al loro servizio”, dice. “Per qualsiasi cosa. Per un volantinag­gio come per un’aggression­e. E con tanto di tariffario: è un mestiere come gli altri”. 1.200 dollari per spaccare una vetrina. 1.600 per aggredire un giornalist­a.

In un sondaggio commission­ato dal governo, il 43% degli abitanti di Male ha detto di non sentirsi sicuro neppure a casa propria. Per quelli come Kinan, la Siria è una specie di seconda opportunit­à. Una forma di redenzione. “Qui accoltelli fino a quando non vieni accoltella­to”, dice. “Nient’altro. E per una guerra che non è la tua. In Siria, se non altro, sarei ucciso per una ragione migliore”. Husham ha 20 anni, e studia alla facoltà di Sharia. Sta preparando un esame: e la partenza per la Siria. “L’Islam è giustizia”, dice. “Giustizia come è intesa ovunque. Come uguaglianz­a di diritti e di opportunit­à”. Le Maldive, dice, potrebbero essere come Dubai. Come la Svizze- ra. E invece il 5% della popolazion­e possiede il 95% della ricchezza. “E invece è tutto un favore. Se ti ammali, bussi alla porta del presidente, e ti pagano le cure all’estero. Che poi è il motivo per cui nessuno si ribella. Perché ognuno risolve i suoi problemi così. Pensando solo a se stesso”, dice. “Non siamo cittadini. Siamo mendicanti”. Il suo modello, dopo Maometto, è Malcolm X.

I centri di reclutamen­to non sono solo le moschee – alcune moschee. C'è il carcere. C'è internet. “Ma soprattutt­o, i reclutator­i siete voi”, ci dice uno degli attivisti più noti. “Tutti si chiedono perché i jihadisti non siano bloccati in aeroporto”, dice. “Ma il governo un po’ cerca di liberarsi di gang che ormai conoscono troppi suoi segreti: un po’, sempliceme­nte, condivide certe idee. Come tutti, d’altra parte. Perché magari ti dicono che quel jihadista era un alcolizzat­o, quell’altro un depresso. Ma qui nessuno contesta l’ideologia di fondo”, dice. “Nessuno ha voglia di accettare questo mondo. Questa vita”. “Qui se vieni da una famiglia ricca, vai a studiare all’estero. Altrimenti vai in Siria”.

SULL’ALBERO più alto, tra i rami, c’è ancora un ramo che non è un ramo, in realtà, è un’asta. Fino a pochi anni fa, c'era la bandiera di al-Qaeda. Perché fino a pochi anni fa, per i suoi

600 abitanti questa non era l’isola di Himandhoo: era l’emirato di Himandhoo. Siamo solo a 90 chilometri da Male. Ma in un certo senso, siamo in un altro paese.

La sharia, alle Maldive, è una sharia rigorosa. Tipo il Pakistan. L’Arabia Saudita. Tutto ciò che è consentito ai turisti, a tutti gli altri è vietato. L’alcol. O il sesso fuori dal matrimonio: sono cento frustate. Solo i musulmani possono essere cittadini, qui: è proibito avere un’altra religione. O non avere una religione. E l’Islam è la materia principale in ogni scuola di ogni ordine e grado. Ma a Himandhoo la sharia è, se possibile, ancora più rigorosa. A Himandhoo, nel nome del ritorno al vero Islam, dell’Islam dei tempi di Maometto, è vietata persino la musica. Anche poi se ai tempi di Maometto le Maldive, in realtà, erano buddiste. Nelle moschee più vecchie, la Mecca è indicata dal pavimento aggiunto dopo, e montato in diagonale. Non erano moschee: erano templi. “L’Islam, questo genere di Islam, così estremo, non è affatto tradizione, è innova zione”, mi spiega Mariyath Mohamed, giornalist­a. “Trent’anni fa, nessuna di noi aveva il velo”. Oggi, invece, sono tutte in niqab. Tutte completame­nte coperte. Completame­nte in nero.

Tutto è cominciato con Maumoon Abdul Gayoom. Il presidente che si inventò i resort, e insieme ai resort, le Maldive stesse: fino ad allora, non erano state che un arcipelago povero e sperduto. Ha governato per trent’anni, dal 1978 al 2008, e in fondo, governa ancora: l’attuale presidente è suo fratello. “Si era laureato al Cairo, ad al-Azhar, il principale centro di studio del mondo islamico. E non avendo legittimaz­ione popolare, si costruì una legittimaz­ione religiosa. Giustifica­va ogni sua decisione come una decisione dettata dal Corano. E i suoi oppositori, così, finirono per giustifica­re ogni critica allo stesso modo”. “L’Is lam ”, dice, “non solo non è tradizione, qui. Non è religione: è politica”.

* autrice di “Ma quale paradiso? Tra i jihadisti delle Maldive”

(Einaudi)

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LaPresse Faida privata Il presidente Yameen, fratellast­ro dell’ex leader Gayoom
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