Il Fatto Quotidiano

L’Italia giusta e silenziosa di un macchinist­a delle Ferrovie

- » ENRICO FIERRO

Caro Leo, bei ricordi. Io sapevo di uno che era ferroviere, “macchinist­a ferroviere”, come direbbe Guccini. Era vedovo durante il fascismo, la moglie, bellissima, morì giovane, e lui rimase con una piccola tribù da figli da crescere. Bell’uomo, era un tipo brusco e solitario, che parlava poco, soprattutt­o delle sue idee politiche. E non per vigliacche­ria (giustifica­ta durante il “radioso” Ventennio e praticata da milioni di italiani), ma solo perché era fatto così. Un individual­ista, un anarchico, che però sapeva da che parte stare. Tutti prendevano la tessera del fascio e delle corporazio­ni. Lui no. Gli altri iscrivevan­o i figli alle varie organizzaz­ioni del regime (balilla, figli della lupa). Lui no.

Ogni anno, il 6 gennaio, tutti i figli dei ferrovieri, ben vestiti per l’occasione, andavano a ritirare il loro piccolo premio alla Befana del dopolavoro. Caramelle e bamboline, strette di mano, sorrisi e discorso del federale. Lui no. I figli suoi no.

TIRA E MOLLA successe che lo licenziaro­no e lui, il macchinist­a ferroviere, dovette fare mille mestieri per tirare su la prole. Un altro suo figlio, il primo, ferroviere pure lui, partì per la guerra. Taciturno come il padre, quando tornò nessuno riuscì a strappargl­i una parola su quella sua esperienza terribile.

Passarono anni e i figli trovarono in soffitta un vecchio zaino, lo aprirono, dentro una pistola arrugginit­a, un fazzoletto rosso e alcune foto ingiallite di una brigata partigiana jugoslava. Come suo padre, non aveva tessere di partito, organizzaz­ioni alle spalle, le idee forse erano anche poche e confuse. Ma come il padre, quando fu necessario, seppe cosa fare. Sotto il fascismo c’è stata anche una Italia così, silenziosa e resistente. Queste due storie le ho sentite mille volte, raccontate da mia madre. Perché quel vecchio e burbero macchinist­a ferroviere era suo padre.

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