Il Fatto Quotidiano

“Lui” sarà anche tornato, ma di Renzo De Felice non si ricorda più nessuno

Un film e la rabbiosa messa in scena degli ismi che allunga il nostro eterno dopoguerra dal 1945 fino alle soglie del 2018

- » PIETRANGEL­O BUTTAFUOCO

Lui è tornato, e va bene, ma quell’altro – quello che l’ha definitiva­mente spiegato – perché no? Benito Mussolini si prende la scena, tutto il dibattito politico – per non dire dell’analisi sociale – torna a lui. Ma perché – a giudicare dall’isteria, dal pollaio, dalla che si fa di vent’anni d’Italia – di Renzo De Felice se ne sono dimenticat­i tutti?

LUI è tornato, conquista le sale cinematogr­afiche con un film dal loffio retrogusto moralista, ma l’opera che ha restituito alla coscienza nazionale l’autobiogra­fia di tutti, compreso il fascismo insito nell’antifascis­mo – compreso il vero Mussolini e non quello delle patacche cui s’attaccano tanto i fascisti immaginari quanto gli odiatori reali – quella no. I libri della grande ricerca storica sono come tutti cancellati.

È come se Renzo De Felice, autore della monumental­e biografia edita da Einaudi, e non certo dalla Sentinella d’Italia, non ci fosse mai stato. Ed è così se la rabbiosa mes- sa in scena degli ismi – con tanto di dopoguerra fatto eterno dal 1944 alle soglie del 2018 – raglia un’asinina battaglia. È quella dove, sullo sfondo di tragedie immani, c’è una donna a testa in giù – una sul cui corpo martoriato hanno già pisciato sopra, una appesa al gancio di un macellaio – la storia di una che si pensava avesse avuto tutto (perfino un prete che per coprirne la natura nuda le legava le gonne con uno spillone, non senza darle un altro sputo a mo’ di aspersione).

LA STORIA siamo noi, al solito. E tutto si poteva immaginare fuorché vedere riapparire quel fantasma solo per dare il proprio nome a un maiale perché – e sembra già passato un anno dalla scenetta di Gene Gnocchi – tutto diventa veloce quando torna Lui senza quell’altro, lo storico col mez- zo toscano sempre in bocca che più di ogni altro ha decifrato l’enigma del rivoluzion­ario mangiapret­i socialista e ghibellino. Lo storico che si fece carico di scandaglia­re documenti, memorie, filmati e archivi e che più di ogni altro – senza mai cedere rispetto al dovere della verità – ebbe a raccontare del figlio del fabbro che si fece cugino del Re, Collare dell’Annunziata, nonché artefice dei Patti col Vaticano per poi tradire nell’abominio gli ebrei italiani, molti dei quali tra i suoi primi sostenitor­i nei vertici delle Gerarchie del Partito nazionale fascista e della crescita economica d’Italia.

Lui è tornato ma Paolo Mieli, che fu l’allievo di Renzo De Felice, quando prenderà carta, penna e calamaio e metterà fine a questa cagnara? Quando, col rispetto dovuto, si prenderà l’incomodo di salire al Quirinale e fare finalmente le doverose lezioni di storia a Sergio Mattarella al quale la pacificazi­one, dopo ormai un secolo dalla fine della guerra civile, sembra un rigurgito populista?

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Il Duce Massimo Popolizio in “Sono tornato”

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