La denuncia di Cicerone contro l’illegalità
L’irruzione nelle nostre case delle notizie relative al gigantesco, devastante scandalo Eni non è solo fonte di conoscenza dell’ennesimo caso di corruzione, ma l’occasione per riproporre in termini drammatici quanto più in generale l’illegalità sia ormai uno dei tratti salienti del nostro sistema Paese. L’inchiesta giudiziaria che si sta dipanando lungo il territorio nazionale e diverse procure vede protagonisti non solo la politica e l’imprendi- toria, ma anche l’universo giuridico: avvocati e giudici. Eppure i reati contro la giustizia non costituiscono certo una novità delle società moderne, ma una piaga millenaria della storia dell’uomo. Non rare furono le volte in cui Cicerone lamentò il fenomeno: “Se tu giudice darai l’impressione di non essere stato di alcun aiuto contro la prepotenza e gli appoggi autorevoli a chi è solo privo di mezzi, se presso questa corte l’esito della causa dipenderà non dalla verità, ma dai mezzi di cui dispongono i contendenti, allora davvero in questa città non vi è nulla ormai che sia sacro e onesto” ( In difesa di P.
Quinzio 1.5). Sempre Cicerone, in un’altra orazione, accusava: “Io sostengo che Stazio Albio diede al giudice Caio Elio Staieno una grossa somma di denaro per corrompere la corte ( In difesa di
C lu en zi o 24.65). La situazione non cambiò neppure con l’avvento del principato, come rivela Tacito a proposito di Pisone deciso ad abbandonare anche la vita pubblica: “Frattanto Lucio Pisone, lamentando gli intrighi del Foro, la corruzione dei giudici, la perfidia degli avvocati che minacciavano accuse, dichiarava di voler andarsene e abbandonare la città e il senato” ( Annali 2.34.1).