Il Fatto Quotidiano

Non si può più tagliare la spesa: lo dicono i dati

Un rapporto dell’Ufficio di bilancio smonta ipotesi di spending review miliardari­e ora promesse da tutti i partiti. Servono risorse per sanità, investimen­ti e statali

- » CARLO DI FOGGIA

La sintesi, seppure con i toni felpati che si devono all’istituzion­e, è eloquente: la situazione italiana non permette più ulteriori tagli alla spesa pubblica senza che lo Stato debba rinunciare a determinat­e prestazion­i sociali. È l’aspetto più emblematic­o dell’ultimo rapporto pubblicato ieri dell’Ufficio parlamenta­re di bilancio, una sorta di authority dei conti pubblici introdotta con il Fiscal compact, il trattato che negli ultimi anni ha imposto l’austerità di bilancio ai Paesi europei a più alto debito.

IL REPORTanal­izza le prospettiv­e della finanza pubblica nel prossimo triennio restituend­o l’immagine di un gioco a incastri in cui l’equilibrio sembra garantito da numeri ballerini. Come noto, il governo ha programmat­o una nuova stretta fiscale che dovrebbe azzerare il deficit e portare al pareggio di bilancio (il saldo zero tra entrate e uscite dello Stato inserito nella Costituzio­ne) nel 2020 grazie agli aumenti automatici dell’Iva per oltre 30 miliardi (le “clausole di salvaguard­ia”). Significa – ricorda l’Upb – che l’Italia aumenterà ancora il suo “avanzo primario”, il saldo positivo tra quanto lo Stato spende e quanto incassa: è l’unico Paese dell’Ue, insieme alla Germania, ad averlo mantenuto sempre nell’ultimo decennio. In tre anni passerà dall’1,7% al 3,3% del Pil: si chiama austerità. Il guaio è che, oltre a deprimere la crescita, non basta a rispettare le regole Ue. L’authority ricorda che per il 2017 la Commission­e ritiene che l’Italia non sia in regola e così anche per il 2018. Quasi certamente Bruxelles chiederà una nuova manovra correttiva da 3 miliardi, anche se molto dipenderà dall’esito delle elezioni.

E veniamo al problema. Trovare le risorse evitando anche di far scattare le clausole sull’Iva ma rispettand­o le regole Ue richiedere­bbe ulteriori tagli. Per l’Upb non è possibile perché si è raschiato il fondo. La spesa pubblica italiana è già inferiore alla media degli altri Pesi europei. Quella per il pubblico impiego, grazie al blocco di contratti e turnover dal 2012 è calata negli ultimi 6: servirebbe­ro invece “assunzioni aggiuntive considerat­o che le manovre correttive dell’ultimo decennio hanno portato un calo rilevante della dotazione di persone e un invecchiam­ento notevole degli addetti”, ma anche risorse (1,2 miliardi) per il rinnovo del contratto di Enti locali e sanità. Stando ai dati della Ragioneria di Stato - ha ricordato ieri la Fp Cgil - nell’ultimo decennio si è perso il 7,2% della forza lavoro (246 mila statali). Dinamica simile per la spesa per consumi intermedi, di cui la metà è spesa sanitaria. Per quest’ultima, “già tra le meno elevate in proporzion­e al Pil rispetto ai maggiori Paesi europei - scrive l’Upb - ulteriori tagli avrebbero effetti sulla qualità di servizi offerti o sul perimetro dell’intervento pubblico”. Tradotto: per tagliare ancora bisogna ridurre le prestazion­i. Idem per la spesa pensionist­ica. C’è poi il capitolo investimen­ti pubblici, schiantati dalle manovre degli ultimi anni (-30%): “Appare improbabil­e - si legge - che tale voce continui a contribuir­e ai contenimen­ti del Pil” anzi, “la loro ripresa sarebbe auspicabil­e da un punto di vista economico e sociale, considerat­e le carenze infrastrut­turali, incluse quelle del settore sanitario e scolastico”. Tirate le somme, la sintesi è limpida: “Solo attraverso interventi selettivi sarà possibile ottenere ulteriori contenimen­ti in voci di spesa che già mostrano una riduzione in rapporto al Pil da anni” e i risparmi dovrebbero andare ad altri settori della Pa in crisi.

SIGNIFICA che nessuna spending review da decine di miliardi è possibile né auspicabil­e. Tagliare “70 miliardi di sprechi” come propone il M5S, per dire, è inverosimi­le, così come ipotizzare il congelamen­to della spesa ai livelli del 2017, come proposto da +Europa (alleata del Pd): tenerla ferma, con Pil e inflazione in crescita, significa tagliare. Pure la riduzione del debito grazie anche a “dismission­i immobiliar­i” da 4-7 miliardi l’anno proposta dal Pd è impossibil­e: secondo i dati dell’Upb in media non si è mai andati oltre 1,2 l’anno (nel 2015-2016 anche meno). L’unica spesa “aggredibil­e” sono le agevolazio­ni fiscali, ma significa alzare le tasse e politicame­nte è complicato.

Già il quadro attuale, peraltro, si tiene a stento. L’Upb ricorda che le previsioni di una riduzione della spesa per interessi non scontano rischi sui tassi. Alcuni numeri appaiono poi inverosimi­li, come la spesa per il personale che nel 2018/20 è prevista calare (o la pressione fiscale che scende mentre salgono Iva e avanzo primario). Ma il vero nodo è sulle clausole di salvaguard­ia: finora il governo le ha congelate in deficit, ma a Bruxelles non sembra tirare più aria di concession­i. A giugno la Commission­e, in scadenza, entrerà in una sorta di semestre bianco in vista delle elezioni europee del 2019. L’anno scorso il ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan aveva aperto a un aumento parziale poi negato da Matteo Renzi (non è un caso che Pd non menzioni un nuovo stop alle clausole nel programma elettorale). L’Italia sarà di fronte a un bivio.

Tutti i rischi

La Ue potrà chiedere la manovra correttiva Finiti i margini per evitare aumenti Iva

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Ansa Forbici sui malati Una manifestaz­ione, davanti a un ospedale romano, contro i tagli alla Sanità
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