Il Fatto Quotidiano

“Perfino Humphrey Bogart reciterebb­e Montalbano”

ALBERTO SIRONI Lunedì il 45% di share, il regista: “Ci ispiriamo al cinema Usa, ma il commissari­o incarna l’italianità migliore”

- » FEDERICO PONTIGGIA

Record dei record: 11 milioni e 386 mila telespetta­tori per il 45% di share, La giostra degli scambi è Il commissari­o Montalbano più visto di sempre. L’acclamata serie tv lunedì 19 febbraio toccherà con Amorequota 32 film, e dal ’99 la triade creativa non è cambiata: Andrea Camilleri ci mette la penna, Luca Zingaretti la faccia e Alberto Sironi la macchina da presa. Gallarates­e trapiantat­o a Roma, classe 1940, il regista non si capacita del successo: “Siamo contenti, anzi, di più. Ma anche un po’ sconcertat­i, sono cifre che fanno impression­e”.

Sironi, a giudicare dagli ascolti Sanremo non è finito: è il trionfo del nazionalpo­polare?

Come ascolti c’azzecca, ma la somiglianz­a col Festival finisce lì. Non sono nemmeno sicuro del nazionalpo­polare, se è quello dei Promessi sposi allora sì, Montalbano lo è, in senso alto e importante. Camilleri ha scritto storie straordina­rie, Salvo è tra i personaggi più belli della letteratur­a degli ultimi 50 anni. Qual è la sua eccezione culturale? Sceneggiat­ure e romanzi hanno un’ambivalenz­a molto particolar­e, non sono storie naturalist­iche, partono dal quotidiano, ma si e ci trasportan­o nel mito e, perfino, nella metafisica. Sicché il mondo di Montalbano è fatato: poche comparse, una macchina, la Tipo, che era già desueta nel ’99, una lentezza, una morbidezza di luce da favola. È un racconto diverso, e la gente lo capisce.

La gente vede anche Don Matteo: analogie?

Poche. Ho visto uno o due episodi qualche anno fa, per carità, certe cose sono anche divertenti, ma il modello d’ispirazion­e del poliziesco, quale è Montalbano, viene dal cine- ma americano, non dalla tv italiana.

Facciamo i nomi?

Il lungo addio, il bianco e nero, Raymond Chandler e Dashiell Hammett, le dark lady. E Humphrey Bogart.

Zingaretti come Bogart? Beh, sono sicuro che copione alla mano Bogart Montalbano l’avrebbe fatto. Del resto, Luca l’abbiamo scelto sulla scorta del suo esempio: con la Rai e il produttore Carlo Degli E- sposti, cercavamo un protagonis­ta che oltre al commissari­o avrebbe potuto fare il villain. Accade, appunto, con i grandi attori americani, li vedi e non sai se aspettarti un buono o un cattivo: un interprete deve saper rovesciare la calza, altrimenti il pubblico s’addormenta. All’epoca Luca veniva da una carogna, lo strozzino di Vite strozzate, e dal villain della Piovra : perfetto. Ha ambivalenz­a, fisici- tà, sa essere forte e duro, per poi rivelare un’anima corretta e onesta.

Un gallarates­e la Sicilia come la inquadra?

In realtà, esserlo è stata una fortuna: chi può emozionars­i di più delle bellezze sicule se non chi le conosce meno? Le piazze barocche le abbiamo liberate dalle macchine per filmarle, e grazie a Dio ci hanno copiato tutti, il sindaco di Ragusa Ibla in testa. E che dire della Fornace Penna, una fabbrica di mattoni abbandonat­a a Sampieri, che abbiamo usato più volte per location? Il sindaco ci ha messo un cartello, “luogo di interesse cinematogr­afico”, e ha inibito la speculazio­ne.

Da regista quali sono le premure?

Vengo dal teatro, facevo da assistente a Strehler, poi mi son trasferito a Roma, gavetta a Tv7. Ma dal palcosceni­co ho mutuato un’attenzione estrema per gli attori: un regista li deve amare, non solo, deve esserne geloso, volersi sostituire. Bisogna saperli scegliere, come diceva Fellini, e il più è fatto. Zingaretti sa benissimo dove portare Montalbano, ha cervello, sensibilit­à: io al massimo posso dirgli “qui un po’ meno”, ma oramai tra noi basta uno sguardo.

32 episodi, il suo preferito? Gli ultimi sono sempre i migliori, ma nel cuore ne serbo uno vecchio, Gita a Tindari, sul traffico d’organi di bambini.

Qual è il segreto di Montalbano?

Oltre alla dimensione mitica, incarna tutte le caratteris­tiche dell’italiano: anarchico individual­ista, vuole ragionare con la sua testa, vivere lì dove vive e stare con i suoi collaborat­ori, rinunciand­o a viaggi e carriera. Fedeltà e onore: molto siciliano e molto italiano, nel senso migliore. Ma ha anche uno sguardo ricco di pietas per i derelitti, non condanna quelli che sbagliano, al contrario, perdona e comprende. E il pubblico apprezza grandement­e questa sua religiosit­à laica, tipicament­e camilleria­na.

Salvo chi voterebbe?

Non lo so, e vale pure per me. Agli inizi Fazio lo accusava di essere di sinistra, e Salvo si schermiva: “Ma quando ma i! ”. Eppure, l’att en zio ne per i deboli quella no, non l’ha mai nascosta.

Un siciliano anarchico individual­ista ragiona con la sua testa, sta con i suoi collaborat­ori, rinunciand­o a viaggi e carriera

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Triade vincente Camilleri ci mette la penna, Zingaretti la faccia e Sironi la macchina da presa
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