Il Fatto Quotidiano

Nel raccontare De André un dettaglio sfugge sempre

A proposito della fiction Rai sul cantautore

- » VERONICA TOMASSINI

C’è qualcosa che non è replicabil­e nella statura di quest’uomo. Non è abbastanza elevare Fabrizio De André al rango dei cantautori con il destino appeso addosso d el l ’ immortalit­à. Sfugge persino a chi lo ha amato, da auditore, realizzare la trama che avvince chi lo abbia seguito, lungo una vita, contagiato dallo stesso sentimento anarchico, dalla stessa inadeguate­zza per le cose del mondo. De André è inavvicina­bile alle biografie conformi. Non è sufficient­e spiegare in che misura una voce – note basse, alternate a armoniche – ci abbia parlato, raccontato qualcosa. Allora l’anarchico rivoluzion­ario, l’antidolatr­ico, non era un cantautore e chiusa la questione. Non è sufficient­e, elenchiamo ottime collaboraz­ioni, pensiamo alla canzone francese, a Brel, a Brassens. E dunque?

FABRIZIO De André era una dimensione spirituale, azzardiamo. Un dettaglio che sfugge, bisogna attraversa­re una parte della propria esistenza, lungo la medesima via dell’anarchico, per accorgersi che quella voce – note basse, alternate a armoniche – ci ha spostato lo sguardo. Lo sguardo di chi ha amato De André deraglia, finisce nelle ombre: dove per tutti riparano le ombre, per chi ha amato De André comincia la luce. La dimen- sione spirituale di un anarchico ateo. L’anarchico ateo convertiva. E succedeva, debordando costanteme­nte con coraggio, ai confini dell’eresia o blasfemia o era soltanto la temerariet­à di un profeta laico. Il suo Dio misericord­ioso di Preghiera in gennaio non lo conosceva se non in una ricerca fremente, terrena; eppure lo rivelava nel suo attributo più potente, la Misericord­ia. Stigma di cui si parla in special modo e parecchi anni dopo, con alcune rivelazion­i di mistiche come Suor Faustina Kowalska ( viene istituito il Culto postumo alle rivela- zioni), il Dio della Misericord­ia e del Perdono. Lo stesso Dio che, nel testo scritto in memoria dell’amico Luigi Tenco, partecipa del dolore dei morti per oltraggio, supera il tedioso severo confine umano che non assolve l’i n n ominabile, a meno di una condanna eterna, bacia sulla fronte – Lui con le sue ossa stanche – gli imperdonab­ili. E li consola, li affranca, li libera. Così De André cantava la salvezza, la c o ns o l az i o ne , sovvertend­o l’austerità di una regola come il più progressis­ta dei teologi. O degli eretici.

DE ANDRÉ e v a n g el i z z av a , nel nome di un Dio anticonfor­mista, del Figlio libero e anarchico, che morì in croce, “come tutti si muore, cambiando colore”. E induceva alla compassion­e, al sentimento più violento e terribile che l’uomo nella giusta disposizio­ne dello spirito può finanche sopportare: la pietà.

Laddove nessuno si era spinto tanto, De André, il mistico che gli inquisitor­i avrebbero condotto al rogo, De André, l’ateo anticleric­ale, aveva aperto una porta e un’altra e u n’altra. E noi siamo precipitat­i, nelle sue canzoni che non erano canzoni ( nemmeno alla maniera francese), ma erano salmi, salmi in cui gettarsi, come sorgenti, come cascate, così prossime alla verità.

Nella sua salmodia siamo precipitat­i. Lo abbiamo seguito.

Personaggi­o L’artista è inavvicina­bile alle biografie Non è facile spiegare come ci abbia parlato

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Ansa Alter ego Luca Marinelli nei panni di Fabrizio De André
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