“Sette anni dopo, sindrome siriana in Libia”
Il professor Pellitteri: “La rivolta del 2011 ha portato un caos in continuo peggioramento”
Il domino della Primavera Araba, scoppiata il mese precedente in Tunisia, colpì la Libia il 17 febbraio 2011, innescando una reazione a catena. Bengasi come Sidi Bouzid, le periferie dei due Paesi nordafricani culle delle rivolte. Era normale che il dissenso libico scaturisse proprio da città come Bengasi.
Lo conferma il professor Antonino Pellitteri, docente di storia dei paesi arabi e di islamistica dell’università di Palermo, che più volte si è recato in Libia: “Ricordo bene allora la differenza tra la cosmopolita Tripoli, vicina agli standard europei, capitale di un Paese del ‘primo mondo’ rispetto al resto dello scenario africano, e le città orientali. Girando a piedi a Bengasi o Derna, mi accorsi, proprio alla vigilia della rivoluzione, co- me fossero state dimenticate. Quanto vedevo mi faceva pena. Strade di fango, quartieri abbandonati, sfiducia e paura. La Giamahiria , la ‘Guida’ incarnata da Gheddafi, iniziò a vacillare, poiché senza istituzioni e con una centralizzazione assoluta del potere. Gheddafi diceva “Ana”, Io, e questo non piaceva ai giovani. E ha offerto il fianco all’intervento di alcuni Paesi arabi, Turchia e Qatar in primis, con le informazioni pompate da al- Jazeer a che amplificava la portata degli eventi, prima dell’arrivo delle potenze occidentali nel marzo 2011”.
CORRUZIONE, STIPENDI bassi e malcontento non avevano messo ancora in ginocchio l’economia, accompagnata dal dinaro che reggeva, costi limitati e prezzi bassi e un sistema del welfare basato sul modello socialista, ma attento ai bisogni della classe media: “Le cose cambiano dal 2014 in avanti - precisa Pellitteri - l’inizio del crollo generale della Libia. Le banche depredate, i beni di maggior consumo come pane e uova con prezzi alle stelle, la diffusione delle milizie e, poco dopo, l’arrivo di Daesh, guarda caso proprio a Bengasi. Inizia l’esodo dei libici, se ne contano almeno un milione; prima i benestanti che scappano rifugiandosi nei Paesi vicini, come Tunisia ed Egitto, comunque stabili, oppure lontano, in Malesia a esempio. Restano le classi più povere e i milioni di immigrati dall’Africa sub-sahariana, i nuovi schiavi, la maggior parte dei quali non aveva alcuna intenzione di partire verso l’Europa, ma stabilirsi in Libia, un Paese, fino ad allora, ricco”.
L’ITALIA, APPUNTO, e la sua strategia di lungo periodo: dal tentennamento interventista nel 2011 alle politiche migratorie del 2017: “Il nostro Paese cosa voleva e cosa vuole dalla Libia - si chiede Pellitteri ? Sempre questa sensazione di timore, di poca chiarezza, mai una volta che assuma decisioni autonome, costretta a correre dietro agli altri stati occidentali, al punto da far dire: Italia, dov’è l’Italia? La Francia ha un altro passo, sa ciò che vuole e cerca di ottenerlo, noi no, siamo sempre al traino. L’istituto di cultura francese non ha mai smesso di proporre attività, il nostro è chiuso da tempo. Eppure i libici amano il nostro Paese, cercano di apprenderlo, la storia del Mediterraneo riporta sempre all’Italia. Oggi non esiste più nulla di quella tradizione. Sulle mosse prese per le migrazioni e sui profu- ghi, qualcosa di buono è stato fatto tra accordi strategici con le autorità, rimpatri assistiti, i corridoi umanitari e le missioni delle nostre ong. Certo non può bastare. Appoggiare Tripoli e il governo di al-Serraj? Io farei altro, ascolterei tutti, in particolare il generale Haftar, l’unico a possedere un esercito e con una traccia istituzionale alle spalle. La Libia sta assumendo una deriva irreversibile, peggio della Siria. Per evitarlo bisogna intervenire subito e in maniera efficace”.
Il nostro governo conferma la bontà della strategia in materia di migranti: “Grazie al nostro impegno sono diminuiti gli sbarchi e imorti, mentre aumentano i ritorni volontari e assistiti dalla Libia verso i Paesi d’origine” ha detto ieri il premier Paolo Gentiloni, incontrando Angela Merkel a Berlino. Intanto pochi giorni fa, seppur con un mese di ritardo per problemi di natura burocratica, è partita la missione di 4 mesi delle nostre ong per la ‘Prima emergenza’in Libia, dedicata ai profughi reclusi nei centri di detenzione.
Il nodo migranti Le istituzioni sono evanescenti, l’unico esponente credibile ormai pare essere il generale Haftar