Milan, i guai del socio cinese Fuorigioco di B. dalle elezioni
Insolvenza per la società di Yonghong Li, finita all’asta. I sospetti dietro la vendita
Niente più colpi di ca lci omer cato, trofei da esibire, sciarpe rossonere da sventolare: ai tempi del Milan, per Silvio Berlusconi fare campagna elettorale era più semplice. Oggi il club è stato venduto tra mille sospetti, riaccesi dalle rivelazioni del Corriere della Sera sullo stato di insolvenza della società di Yonghong Li: in futuro potrebbe finire nelle mani del fondo Elliott, magari con l’ex ad di Eni Paolo Scaroni come nuovo presidente. Intanto, però, il leader di Forza Italia non ha più a disposizione quello che è stato uno degli strumenti preferiti di creazione del consenso. Ma questo non vuol dire che abbia accantonato la sua passione per il pallone, tra manager sportivi prestati al partito, manovre politiche per controllare Lega e Federcalcio e un occhio vigile alla succulenta partita dei diritti tv.
RUI COSTAe Kakà, Ibrahimovic e Balotelli: nei ricordi rossoneri ogni elezione della storia recente è legata a un grande campione. Fin dal 1993, quando a ridosso della sua discesa in campo B. acquistò a suon di miliardi il francese Marcel Desailly, determinante per l’accoppiata scudetto- Champions League che accompagnò la prima, storica affermazione alle Politiche del ’94. Nella campagna elettorale del 2008 si parlava più di Ronaldinho che di tasse e disoccupazione, nel 2014 alla vigilia delle Europee fu acquistato Balotelli che secondo i sondaggisti poteva valere l’1% dei voti.
Perché stupirsi: p anem et circenses, il giochetto funzionava. Per
30 anni il Milan è stato un enorme spot elettorale. Neanche troppo a buon mercato, considerando che il diretto interessato ha sostenuto di averci investito un miliardo di euro. Ma vuoi mettere il ritorno d’immagine: presidente della seconda squadra d’Italia e più vincente in Europa, con oltre quattro milioni di tifosi. E di voti a disposizione. La macchina del consenso li contattava uno a uno, scrivendo agli iscritti dei vari Milan Club in giro per l’Italia di “votare Berlusconi” (come alle Comunali milanesi del 2011): “Un gesto tanto semplice quanto decisivo per fare di Milano una città all’altezza della nostra straordinaria squadra di calcio”.
Senza Milan, B. ha messo su un altro “squadrone” in vista del voto: il centravanti è Adriano Galliani, storico amministratore delegato del Milan, pronto a sbarcare in Parlamento dopo essere transitato per Mediaset. “Mi piacerebbe continuare ad occuparmi di sport”, dice lui, in predicato di una poltrona da ministro. Ed è il pensiero anche di Berlusconi. Si spiega così la presenza tra i candidati di Claudio Lotito, esuberante patron della Lazio che è entrato a tutti gli effetti nella squadra di Forza Italia e sta provando a piazzare in Lega Calcio Giuseppe Vegas, ex capo della Consob e viceministro dell’Economia. A Milano è tornato ad affacciarsi anche Mauro Bogarelli, un passato in Fininvest, ora consigliere degli spagnoli di MediaPro che si sono appena aggiudicati i diritti tv del campionato: quando il manager era al comando di Infront, Mediaset ha sempre fatto buoni affari col pallone.
Se le cose fossero andate secondo i piani, poi, il senatore azzurro Cosimo Sibilia (ricandidato alla Camera) sa- rebbe dovuto diventare il nuovo presidente della Figc al posto di Tavecchio. La Federazione è stata commissariata, come voleva Malagò, ma per B. non è una catastrofe: non mancano certo i contatti col presidente del Coni (dove da qualche mese Gianni Letta è ospite fisso), mentre in via Allegri è arrivato un milanista doc come Billy Costacurta.
LA FORMAZIONE per continuare a vincere tra campo e politica è già pronta. E il caro, vecchio Milan? Fino a prova contraria, non è più affare di Berlusconi. I suoi eredi hanno spinto per liberarsi del club, che veniva considerato un ramo morto, sempre in perdita e ormai politicamente inutile. Dopo i dubbi sullo stato patrimoniale dei compratori e l’effettiva provenienza dei soldi, ora un’inchiesta di Milena Gabanelli scopre che il nuovo proprietario è insolvente in patria, con la sua holding messa all’asta dal tribunale. Il che significa che anche il Milan rischia di finire nelle mani del fondo Elliott, nei cui confronti Li ha un prestito di 300 milioni difficile da onorare. La transizione potrebbe essere gestita da Paolo Scaroni, ex ad di Eni, che in passato ha già smentito l’ipotesi di voler fare il presidente rossonero: “Non è il mio mestiere”. Intanto, però, siede nel consiglio di amministrazione, e non solo in qualità di numero due di Rothschild (advisor dell’affare) quanto per i buoni rapporti con Elliott.
Da quella vendita, tutt’ora controversa (di recente La Stampa ha scritto di una presunta indagine per riciclaggio, smentita dalla Procura), Fininvest ha incassato 520 milioni di euro, liberandosi di altri 220 milioni di debiti e chiudendo una plusvalenza da oltre 600 milioni. La famiglia è rimasta soddisfatta, B. un po’ meno: dice di non seguire più la squadra, ma come un ex ancora innamorato continua a lanciare stoccate a gioco e allenatore (mai alla nuova proprietà, chissà perché). Lui la cessione non l’ha mai digerita per davvero, e oggi forse la rimpiange persino: il 4 marzo, giorno delle Politiche, si gioca Inter-Milan, con i nerazzurri di Spalletti in crisi nera e i rossoneri trascinati in panchina da Rino Gattuso a una clamorosa rimonta. Chissà quanti voti in più avrebbe potuto portargli una vittoria nel derby.
Su sponde opposte
Il club potrebbe finire in mano a un fondo: il manager orientale ha debiti per 300 milioni Una volta il calcio... La squadra ha giocato un ruolo determinante nelle passate tornate elettorali