Il Fatto Quotidiano

Il triplo salto mortale di Calenda, da ministro a delegato della Fiom

- » ALESSANDRO ROBECCHI

Tra le magie della campagna elettorale e gli incantesim­i pronta cassa della propaganda, ecco l’ultimo genio della lampada. Strofina, strofina, e voilà : il ministro dell’Industria (2 punto 0, 3 punto 0, 4 punto 0, variare a piacere) che si trasforma in delegato Fiom e chiama “gentaglia” i dirigenti della multinazio­nale che va a fare i compressor­i in Slovacchia rovinando cinquecent­o famiglie. Carlo Calenda si è fermato un attimo prima di andare a tirare i sassi alle finestre, ma insomma: il messaggio è chiaro, un pugno sul tavolo, basta coi padroni che se ne approfitta­no.

È DAVVERO UN CASO di mimetismo strategico degno di animali come l’insetto-foglia o il polpo mimetico dell’ Indonesia: all’avvicinars­i minaccioso delle elezioni, il fiero liberista diventa una specie di Di Vittorio, come tale salutato dai giornali, hurrà.

Che Calenda sia incazzato ci sta, non c’è niente di più sfiancante di gente (“gentaglia”) che “si siede a un tavolo” e poi fa quel che vuole. E divertente è anche l’assenza totale dal dibattito del ministro del Lavoro, uno che andava bene per truccare i dati sul Jobs act, e teorizzare il traspor- to di verdura in cassette come scuola di vita, bene, grazie, il suo l’ha fatto.

Un po’ meno divertente, specie per chi ci rimane stritolato in mezzo, è il maledetto mondo reale. Di aziende che si insediano (magari rilevando qualche disastro e passando per salvatrici della patria), prendono soldi, agevolazio­ni e incentivi pubblici, e poi fanno quello che gli pare, è piena la storia recente del paese. Chi compra e scappa con gli impianti, chi trasferisc­e le produzioni dove conviene di più, chi disattende accordi e contratti. Da anni e anni i lavoratori italiani (e parliamo di quelli con un contratto, pensa gli altri!) vivono in uno stato di agitazione perenne, di allarmata insicurez- za. Le crisi diventano vertenze, e diventano “tavoli”, e diventano “trattative”, e diventano “interventi” e poi, passano sei mesi, passa un anno, ecco che si riparte (quando va bene) con meno lavoratori, o salari più bassi, o condizioni di lavoro peggiorate, coi sindacati quasi sempre costretti a ingoiare rospi e a gioire per il “meno peggio” raggiunto. i dirà: è il mercato, bellezza.

Ma è anche interessan­te andare a vedere come nell’ultima legislatur­a ( cinque lunghi anni) si è risposto a questa insicurezz­a di massa, a questo ti mo re - t re mo re che si può perdere il lavoro da un momento all’altro. In buona sostanza, i lavoratori italiani sono stati irrisi costanteme­nte e con regolare pervicacia.

Prima con la favoletta bella della disinterme­diazione, poi evocando il vecchiume delle battaglie sindacali (“Mettono il gettone nell’iPhone”, il più volgare schiaffo ai lavoratori mai arrivato dal giovane segre- tario Pd in trance agonistica).

Poi si innestò una guerra generazion­ale, indicando i lavoratori assunti come indecenti privilegia­ti. Poi fu il turno della legge sul lavoro col nome inglese, scritta a quattro mani con Confindust­ria ( due mani di Confindust­ria, le altre due di Confindust­ria), il tutto con l’aggiunta dei ricami teorici-filosofici del sor Poletti, quello che “per trovare lavoro è meglio giocare a calcetto che mandare il curriculum”.

LO STESSO RENZI, ma sì, lo statista, incontrava il capo di Amazon e lo definiva “un genio”, ma ammetteva poi in tivù – in occasione di uno sciopero ad Amazon – di non conoscere le condizioni di quei lavoratori. Indicare ad esempio i padroni come nuovi signori rinascimen­tali, coprirli conmiliard­i di incentivi, stargli accanto quando brillano per catturare un po’ del riflesso: questo è stato fatto in questi anni (e soprattutt­o nei nefasti mille giorni di Renzi). E ora, a dieci giorni dalle elezioni, ecco un membro del governo sbottare come un Cobas inviperito. Che spettacolo!

ULTIMI ILLUSIONIS­MI Prima del voto si sta vedendo di tutto: quelli che irridevano i lavoratori sono gli stessi che adesso vogliono fare i Di Vittorio

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