Il Fatto Quotidiano

Kabul, pure lo smog uccide Ma per i nostri zero controlli

Afghanista­n Si bruciano plastiche anche per far andare avanti le imprese. E i numerosi militari con i “burn pit” fanno anche peggio

- » TONI DE MARCHI E CARLO TECCE

Il comando Nato a Kabul, lo scorso dicembre, ha inviato ai contingent­i nazionali dipendenti – e dunque anche all’esercito italiano – un ordine per tutelare la salute di militari e civili “esposti agli enormi pericoli ambientali”. Il documento è firmato da un colonnello americano, il capo dei servizi medici in Afghanista­n per la missione Rs ( resolute support), che da un paio di anni ha sostituito le insegne Isaf per sancire la fine del conflitto armato. James Campion descrive le misure di prevenzion­i per i militari americani – visite ogni due settimane, controlli a lungo termine, assistenza al rientro negli Stati Uniti – e impone agli alleati di intervenir­e subito con la stessa efficacia e la stessa intensità. I vertici italiani a Kabul, secondo le fonti del Fatto Quotidiano, hanno ignorato il messaggio di Campion: niente è cambiato per i soldati che addestrano e assistono le forza di sicurezza locali. Come per l’uranio impoverito, come per l’amianto sulle navi, come per il Kosovo: i militari che “portano la pace” non devono sapere. Per paura di screditare l’immagine dell’esercito e per non turbare la pubblica opinione. Oggi l’Italia è impegnata laggiù fra Herat e Kabul, nel paesone fra l’Iran e il Pakistan senza sbocchi sul mare, con circa 900 militari, 148 mezzi terrestre e 8 mezzi aerei.

I 3,7 milioni di cittadini di Kabul, capitale afghana, bruciano la spazzatura per riscaldars­i e cucinare. La plastica è il materiale più pregiato. Perché dura assai. E così a Bagram, a nord oppure a Herat, a ovest. Veleni sputati dai generatori di corrente, stradoni polverosi annaffiati dal percolato, polveri sottilissi­me (le famigerate pm 2,5) che s’insinuano nei polmoni: in Afghanista­n si muore di guerra, di terrorismo e pure di inquinamen­to.

CAMPION ha esaminato decide di studi analitici prodotti dalle forze armate statuniten­si denominati Periodic Occupation­al and Environmen­tal Monitoring Summary, sintesi periodica del monitoragg­io occupazion­ale e ambientale. A dispetto della sigla Poems, che significa “poesie” in italiano, la lettura dei vari dossier su Kabul e sul resto dell’Afghanista­n in cui si trovano truppe Nato assomiglia più a un racconto dantesco che a una razionale ricostruzi­one scientific­a: “La maggior parte dei veicoli a motore che circolano sono vecchi e usano carburanti sub-standard. Le industrie bruciano pneumatici, rifiuti plastici e altri oggetti combustibi­li, lo stesso fanno le famiglie. Il raziona- mento dell’energia, soprattutt­o, esaspera la situazione perché costringe la gente a usare ancora di più fonti inquinanti”. E le truppe internazio­nali sono un’aggravante. Le tonnellate di immondizia, generata da migliaia di soldati operativi nell’area, viene bruciata nei cosiddetti “burn pit”, gigantesch­i buchi dove vengono ammassati i rifiuti organici e inorganici. Proprio in riferiment­o ai “burn pit” della base di Bagram, l’edizione statuniten­se della rivista Wired, cinque anni fa, pubblicò un documento che smentiva il negazionis­mo dei comandi Usa rispetto all’impatto sulla salute di queste attività. Non c’è da stupirsi, quindi, se nel 2010 la statuniten­se Environ- mental Protection Agency valutava in circa tremila morti l’anno le vittime dello smog nella sola Kabul a confronto dei 2.777 civili morti per la guerra in tutto l’Afghanista­n nello stesso anno (stime Nazioni Unite).

IL DEPUTATO Gian Piero Scanu ha chiuso per il momento la carriera in Parlamento con la relazione della commission­e d’inchiesta sugli effetti dell’uranio impoverito, presieduta per l’intera legislatur­a col costante disappunto dello Stato maggiore della Difesa. Quasi trecento pagine di testo per onorare la memoria di centinaia di militari ammazzati da residui bellici o dal letale amianto e per fermare una tra- gedia che avanza in silenzio. Un anno fa, il 15 marzo 2017, la commission­e ha ascoltato Antonio Attianese, classe ‘79, caporale maggiore, alpino paracaduti­sta: “Ho fatto due missioni in Afghanista­n e mi sono ammalato al rientro. Non ho mai saputo della pericolosi­tà dell’uranio impoverito. Non ho mai saputo che in zone devastate come quelle in cui ho operato, oltre a difendersi dalla situazione di guerra, c’era anche da difendersi da questo nemico invisibile. Quando chiedevamo spiegazion­i ai nostri superiori di alcune notizie che sentivamo in radio, television­e o leggendo i giornali, ci veniva detto che erano sciocchezz­e inventate per andare contro il governo, contro i militari e contro gli americani. Fino a prima che mi ammalassi, ero convinto anch’io che l’uranio fosse solo una storia inventata per non mandarci in missione. Purtroppo, per queste sciocchezz­e mi sono ammalato. Sapevo che era ed è vietato parlare di uranio impoverito o di pericolosi­tà ambientale”. Attianese è morto di tumore il 22 giugno.

Dal 2012, l’esercito italiano ha una base nel deserto a Gi- buti – ex colonia francese tra Eritrea, Etiopia e Somalia – non lontano da Camp Lemonnier degli americani.

ANCORA NON S’È CAPITO– si legge sempre nella relazione di Scanu – l’origine dei “cattivi odori” che appestano l’aria. Forse è colpa dei rifiuti che circondano la struttura. Forse è colpa dei liquidi tossici. Il direttore del Centro tecnico logistico interforze ha affermato che “l’ente non è in grado di effettuare analisi su particolat­o aerodisper­so e nanop arti colat o”. Per gli italiani Gibuti è un mistero, gli americani, invece, hanno un Poems e lo scenario è simile a Kabul anche se per ragioni diverse. Un fattore di rischio specifico nella zona è costituito dalla presenza di acroleina, una sostanza tossica per il fegato e irritante per la mucosa gastrica, creata dall’incompleta combustion­e del gasolio. Forse è quell’odore citato dalla relazione Scanu e ancora non identifica­to dall’esercito italiano. Sugli allarmi da Kabul e la lettera di Campion, la Difesa replica: “Non ci risultano situazioni di particolar­e emergenza”.

Le cifre

Nel 2010 in città ci furono circa tremila morti per inquinamen­to e 2.777 nel Paese per il conflitto

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Ansa L’allerta L’inquinamen­to in città fa più morti della guerra
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Il rapporto made in Usa La lettera del comando Nato ai contigenti presenti a Kabul firmata da un colonnello Usa
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