Il Fatto Quotidiano

Carceri, la riforma lasciata a metà che scontenta tutti

Rinvio Ieri il governo ha approvato tre decreti minori, slittato al prossimo Cdm il riordino del sistema che divide persino le toghe

- » GIANNI BARBACETTO

Riforma a metà, sulle carceri. Ieri il governo ha varato tre decreti attuativi della riforma de ll ’ ordinament­o penitenzia­rio, la legge che nelle ultime settimane ha raccolto sostegni entusiasti (norme civili che favoriscon­o il reinserime­nto dei detenuti) e critiche durissime (legge svuotacarc­eri che finirà per aiutare anche i mafiosi). “Lavoriamo innanzitut­to con l’obiettivo che il sistema carcerario contribuis­ca a ridurre il tasso di recidiva da parte di chi è accusato o condannato, per favorire il reinserime­nto nella società”, ha dichiarato il presidente del Consiglio Paolo Gentiloni.

I tre decreti riguardano lavoro, giustizia minorile e giustizia riparativa. Il via libera al decreto complessiv­o che ridisegna l’ordinament­o delle carceri è rinviato al prossimo Consiglio dei ministri.

DELUSI i vertici dell’associazio­ne Antigone, che speravano in un’approvazio­ne rapida anche delle misure alternativ­e al carcere, che invece sono tra quelle rimandate: “Ha vinto la tattica e la preoccupaz­ione elettorale. Si è sprecata un’occasione storica per riformare le carceri italiane”, ha affermato il presidente di Antigone Patrizio Gonnella. “Poteva allargare il campo delle misure alternativ­e alla detenzione, la cui capacità di ridurre la recidiva e dunque di garantire maggiore sicurezza ai cittadini è ampiamente dimostrata”.

Di segno opposto le proteste di Giovanna Maggiani Chelli, presidente dell’A ss o c ia z i on e dei familiari delle vittime della strage di via dei Georgofili: “Il pericolo dell’uscita di tanti boss dal regime speciale del 41 bis, paventato dal magistrato Sebastiano Ardita, esiste eccome. Il governo ripensi bene alle stragi del 1993 mentre firma i decreti attuativi per la salvaguard­ia dei diritti dei carcerati. Ci sono anche i nostri di diritti, quelli della cer- tezza della pena per il torto che abbiamo subito”.

Critiche anche dall’Anft, l’Associazio­ne nazionale funzionari del trattament­o, la quale sostiene che la riforma aumenterà il lavoro in carcere degli educatori che si occupano della risocializ- zazione dei detenuti e dunque ne peggiorerà la qualità. Dura anche Emanuela Piantadosi, d el l’Associazio­ne vittime del dovere. Fa osservare che i sostenitor­i della riforma dicono che la recidiva, cioè il ritorno a delinquere, è inferiore tra chi sconta pene alternativ­e, rispetto a chi resta in carcere: “Ma non è vero, i dati sulla recidiva sono incerti e opinabili e la stessa amministra­zione penitenzia­ria non dispone di dati aggiornati, corretti ed esaustivi. Dunque ci impongono una riforma disegnata sulla base di dati non certi”.

Anche i magistrati si dividono sul tema. Contrario fin dall’inizio alla riforma, con motivazion­i tecniche, è Sebastiano Ardita, ex direttore dell’Ufficio detenuti del Dipartimen­to dell’ammini- strazione penitenzia­ria e oggi procurator­e aggiunto a Catania, il quale segnala il pericolo che l’allargamen­to delle misure alternativ­e al carcere finisca per arrivare anche ai condannati per mafia detenuti al 41 bis, il carcere duro. Contrario anche il procu- ratore nazionale antimafia Federico Cafiero de Raho.

Favorevoli invece il presidente dell’Associazio­ne nazionale magistrati Eugenio Albamonte ed Edmondo Bruti Liberati, ex procurator­e di Milano, che consiglia la lettura dell’art icolo sull’argomento uscito due giorni fa sul Corriere della sera, firmato da Luigi Ferrarella: “È una serrata critica alle approssima­zioni, inesattezz­e e demagogici allarmi, alla cui diffusione purtroppo contribuis­cono anche alcuni magistrati”.

FAVOREVOLE alla riforma anche Piergiorgi­o Morosini, membro del Consiglio superiore della magistratu­ra, il quale ha spiegato l’altro ieri sul Fatto quotidiano che “la riforma non è per i boss”, perché non scatta alcun automatism­o per “l’apertura a percorsi riabilitat­ivi extra-carcerari a categorie di detenuti prima escluse”, come i condannati per partecipaz­ione, con ruolo minore, ad associazio­ni criminali che “bordeggian­o ambienti mafiosi”: a decidere sarà pur sempre “il magistrato di sorveglian­za che si avvale del parere del procurator­e distrettua­le”. E comunque la possibilit­à di pene alternativ­e è in ogni caso “preclusa a tutti i detenuti per reati di mafia e terrorismo”.

Ardita si sottrae a nuove polemiche e non vuole aggiungere altre dichiarazi­oni. Ma spiega come le nuove norme siano ambigue – forse volutament­e? – perché se non si applicano ai detenuti al 41 bis sono inutili, perché già ora è così; se invece si applicano, allora un buon numero di detenuti al 41 bis usciranno dal regime speciale: “Le nuove norme mettono una bomba nel sistema”.

“Occasione sprecata” Scontenti i sostenitor­i del testo come Antigone: “Vincono tattiche e timori pre-elettorali” Sulla riforma si sentono approssima­zioni, inesattezz­e e allarmi demagogici diffusi persino da alcuni magistrati

EDMONDO BRUTI LIBERATI Si dice che le misure alternativ­e riducono la ‘recidiva’, ma i dati sono incerti, opinabili e non aggiornati: su questi dati si basa la riforma

EMANUELA PIANTADOSI

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