Il Fatto Quotidiano

“Così è cominciata l’Italia, da un errore”

La Rai presenta “La mossa del cavallo”: un film tratto da un romanzo dello scrittore. E spiega i nodi irrisolti del Paese

- » PIETRANGEL­O BUTTAFUOCO

C’era una volta Vigata. Ed ecco La Mossa del Cavallo. La Rai presenta lo smagliante ultimo suo prodotto – nientemeno che un film in costume tratto da un romanzo storico, un vero lusso – e il racconto di Andrea Camilleri torna indietro nel tempo, nella Montelusa del 1877, con la storia di Giovanni Bovara, ispettore capo dei mulini – siciliano di nascita, ma cresciuto in Continente – deciso a far rispettare l’obbligo, fosse pure l’odiosa tassa sul macinato.

C’era una volta quello che c’è sempre, ovvero qualcosa di grande e pericoloso, un sistema di avidità e crimine. Ed è una scacchiera perfino intraducib­ile con la lingua della Legge. E c’era dunque a Vigata – e ancora adesso c’è– l’errore che ha generato l’Unità d’Italia.

LA VOCE di Camilleri domina come ex cathedra e denuda l’errore: “Il colonnello dei Carabinier­i che di nome fa Carlo Alberto Dalla Chiesa – il nonno del generale omonimo ucciso a Palermo dalla Mafia – giunto in Sicilia incita gli uomini al suo seguito a fare fuoco”.

Quella voce, dà voce a una ferita mai sanata. È il colonnello che parla: “Non abbiate timore a sparare ai contadini, in quei campi troverete più fucili che pane”.

C’era una volta Vigata e c’era l’esercito fucilatore. E adesso c’è la “P di politica che è diventata minuscola”. No però, non di politica vuole parlare Camilleri, ma di storia se alla folla che lo applaude a viale Mazzini – nell’atrio della sede Rai – per la conferenza stampa di presentazi­one del film La Mos

sa del Cavallo (regia di Gianluca Maria Tavarelli) racconta il fatto per come fu: “Su cinquecent­omila aventi diritto al voto, solo settanta, in Sicilia, dissero no a Roma ma l’Italia, pur beneficiat­a da tanto consenso, ricambiò quell’entusiasmo con l’esercito fucilatore”.

Ci vuole il romanzo per far conoscere la storia: “I siciliani ebbero a vivere il servizio di leva come un lutto provvisori­o; i parenti dei soldati, infatti, vestivano il lutto stretto fino al completame­nto degli obblighi militari”.

L’Italia si doveva pur fare e Camilleri, potente nella sua presenza, affabula in realismo e dice: “Ragazzi del Piemonte, della Liguria, della Sicilia, della Puglia e del Veneto, messi l’uno accanto all’altro, cominciava­no a parlare una stessa lingua”. Dopo di che, zolfo di viva intelligen- za, cauterizza con l’ironia: “Così è cominciata l’Italia, da un errore”.

Ecco la Mossa, ed ecco un Camilleri in una nuova prova tivù confeziona­ta con tutti i crismi delle arti. Ci sono, infatti, con la letteratur­a del suo Autore, la maestria del grande teatro in ogni singolo attore, la ricostruzi­one impeccabil­e di scenografi­a e costumi, la cifra del miglior cinema, il contenuto storico e la regia originale di Tavarelli in così grande spolvero da far sembrare la tivù troppo poca cosa. A benedire il tutto, la bedda Sicilia, ancora una volta gli scorci incantevol­i di Scicli, Ibla, Modica e Ispica (e il mare di Donnalucat­a, va da sé).

Nel ruolo di protagonis­ta c’è Michele Riondino. Attore eccellente, già interprete del Commissari­o Montalba

no da “giovane”– dove è perfino superiore a Luca Zingaretti – in questo film dalla scrittura limpida, Riondino si concede un virtuosism­o di sdoppiamen­to: parla con l’inflession­e ligure per poi decidersi, nello scacco, a ragionare in vigatese, una sor- ta di scavo nella lingua madre con cui apparecchi­are il colpo di scena.

Bedda, degna dell’archetipo della Lupa, è Ester Pantano nel ruolo della femmina che porta alla dannazione pure il padre parroco. La scena più erotica si consuma quando lei ordina a un garzone di preparare il letto all’ispettore dei mulini cui ha affittato la casa. Fulmina con un’occhiata il ragazzo e gli intima: “…mi raccomando le lenzuola, tese!”.

INESORABIL­E, ma nella disinvoltu­ra di una saggezza bieca, è la ferina natura di quella Vigata. Una brocca sta appoggiata alla bocca di un pozzo. Un tiratore accecato di rabbia spara, tira, tira e spara senza mai beccare il bersaglio. Un vecchio caracollan­te gli strappa il revolver dalla mano, lo impugna, spara e mette a segno sulla brocca: “Non si spara con il cuore, si spara con la testa!”.

Prodotto dalla Palomar di Carlo Degli Esposti e da RaiFiction, scritto da Camilleri con Leonardo Marini, Valentina Alferj e Francesco Bruni, il film prelude – lo ha detto Tinny Andreatta, direttrice di RaiFiction – “a una collezione che pensiamo possa nascere su questa radice”.

Disegnato come a godere dei Tre Moschettie­ri, a volte come un western, a tratti come commedia e Opera dei Pupi (magnifico il delegato di polizia, tanto è fetente come un Gano di Magonza, e così Filippo Luna, l’avvocato Fasulo), il film prenderà, con il largo pubblico televisivo, anche i palati più esigenti per- ché quell’alchimia dell’i ntrattenim­ento popolare di cui teorizzò Umberto Eco, qui si conferma con un Camilleri definitiva­mente letterario. Questa volta, infatti, non c’è il genere poliziesco. Adesso torna in campo il grande romanzo. E la sequenza perfetta, coerente in nitore di parola e ragionamen­to, è solo una. Ed è tutto quello che deriva da Vigata: Luigi Pirandello, Leonardo Sciascia, Andrea Camilleri.

 ?? Ansa/LaPresse ?? Protagonis­ta e autore Torna Michele Riondino, già presente nella serie “Il giovane Montalbano”; in basso lo stesso Andrea Camilleri
Ansa/LaPresse Protagonis­ta e autore Torna Michele Riondino, già presente nella serie “Il giovane Montalbano”; in basso lo stesso Andrea Camilleri
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