Pure da Veltroni no al Renzusconi
L’ex segretario bombarda il Rosatellum e la possibile alleanza con Forza Italia
Manca una settimana al voto ma ad assistere agli ultimi eventi elettorali del Pd sembra che Matteo Renzi e tutta la sua stagione politica sia già stata archiviata. Il premier Paolo Gentiloni rilascia un’intervista a R epubblica che torna sui temi iniziali di una campagna elettorale che si era aperta con effiemere denunce di grandi complotti a base di fake news, Russia e Cinque Stelle: “Voto utile contro il populismo o si torna al passato”. Eppure al teatro Eliseo di Roma, con la classica platea democratica di rughe e capelli bianchi, il ritorno al passato non sembra affatto una cattiva idea. L’ex segretario del Pd Walter Veltroni strappa applausi imprevisti quando, con un lapsus, parla del “Pci che è stato un punto di riferimento come forza di governo”.
SUL PALCO del teatro (di Luca Barbareschi, ex deputato di centrodestra) sale Marianna Madia, ministro della Funzione pubblica e candidata all’uninominale ai Parioli, parla di “orgoglio e umiltà”, rivendica il rinnovo del contratto degli statali, un attimo prima delle elezioni. Poi tocca a Veltroni che da tempo ha lasciato il confino delle produzioni culturali per tornare a occuparsi del partito che ha fondato nel 2007 e affondato alle elezioni del 2008, quando la “vocazione maggioritaria” lo condannò all’opposizione.
PER UNA SINGOLARE scelta scenica, Veltroni parla sul palco, in piedi, mentre Gentiloni lo ascolta su una sedia a lato. Con una perifrasi riesce a evitare il suo “endorsement” formale a Gentiloni, “Paolo ne ha ricevuti molti, autorevoli e sinceri, in questi giorni e del mio penso non abbia bisogno, lo consideri naturale”. Poi presenta un manifesto per un Pd e un centrosinistra diverso da quello renziano, in un discorso di 20 pagine e almeno altrettanti applausi. Cita Renzi due volte e soltanto per sottolinearne l’incoerenza: “Renzi nei mesi passati ha sempre giustamente insistito su un concetto che per me è basilare per il futuro della democrazia e che fu alle radici della nascita del Pd: i governi si sanno la notte delle elezioni, li stabiliscono i cittadini con il loro voto e non le segreterie dei partiti, la democrazia è democrazia dell’alternanza”. Una doppia critica: una alla legge elettorale Rosatellum, che
L’unica strada Se nessuno riesce ad ottenere una maggioranza meglio tornare al voto
richiede la formazione di coalizioni in Parlamento, e una preventiva alle tentazioni di larghe intese con Forza Italia. Silvio Berlusconi, dice Veltroni rispolverando la sua contestata espressione del 2008, “per me rimane il principale esponente dello schieramento a noi avverso”, dando un nuovo significato bellicoso a quella formula che era il rifiuto dell’anti-berlusconismo.
IN CASO DI STALLO, per Veltroni si deve tornare a votare dopo aver approvato “una legge elettorale con un premio di maggioranza al livello che la sentenza della Corte costituzionale ha stabilito”. Le regole si scrivono insieme ma poi si governa separati. E chi governa “non deve ricorrere alle orrende forzature dei voti di fiducia ripetuti, delle leggi delega omnibus”, due strumenti usati sia da Renzi che da Gentiloni. L’ex segretario del Pd delinea poi una sinistra che si fonda su un pantheon da rivendicare – Enrico Berlinguer, Guido Rossa, Federico Fellini, Vittorio Bachelet – una sinistra che dice alla camorra “votate chi vi pare ma non noi” (e chissà che non volesse evocare il caso Fanpa- ge- De Luca), una sinistra che sia “dentro il popolo, dentro il suo malessere, il suo disagio” e che abbia risposte concrete da offrire.
Tocca al premier parlare dopo Veltroni ma, come spesso accade della prosa di Gentiloni, si trattiene poco. Giusto un’espressione – “questa cosa degli 80 euro su cui qualcuno ha ironizzato” – che tradisce anche da parte del pacato inquilino di palazzo Chigi una certa stanchezza nel dover rivendicare ancora i prodigi dei mille giorni del governo renziano.