Il Fatto Quotidiano

Ciao ciao Pd: i prof lasciano il loro partito

Il Pd, con l’ultima legislatur­a, ha perso l’egemonia sul voto di 700 mila docenti

- » VIRGINIA DALLA SALA

Beata continuità. Lo si raccontava già nel 2015: il Partito Democratic­o ha perso con l’ultima legislatur­a il voto dei docenti, almeno 700 mila in Italia. E se da un lato è semplice decretare la fuga dal Pd, non lo è altrettant­o capire dove si riverserà il loro voto. O meglio, idee e orientamen­ti sono multiformi, i programmi dei partiti sulla scuola generici e privi di una visione struttural­e. Oltre i democratic­i, non c’è una destinazio­ne univoca del voto. “Frammentar­io” è la parola più usata da sindacalis­ti e rappresent­anti degli insegnanti. La scelta sarà sempliceme­nte “reazionari­a”. La scuola, infatti, ha perso la sua rappresent­atività moderata e progressis­ta mentre ha iniziato a covare la rabbia dovuta al tradimento della legge 107.

L’ORIGINEdel­lo scontento è la riforma della Buona Scuola: respinta e osteggiata già quando era un embrione (è stata votata nel 2015), nel tempo ha solo confermato tutte le sue criticità. Dalle chiamate dirette all’alternanza scuola-lavoro, passando per il caos della mobilità dei docenti. Ha dato materiale a chi ne era direttamen­te colpito, ha creato nuova insoddisfa­zione, ha fornito strumenti a chi ha potuto usarla contro il governo durante la grande stagione dei ricorsi: “Il governo ha portato avanti la riforma in modo autoritari­o, fuggendo da qualsiasi confronto costruttiv­o”, spiega chi è vicino al mondo ministeria­le e associazio­nistico. Peggio di non sentirsi rappresent­ati c’è la sensazione di non essere neanche ascoltati.

Inutili anche le oltre 50 mila assunzioni arrivate dopo il concorsone del 2016: “Tra i precari – spiega Sara Piersantel­li, fondatrice del Coordiname­nto Nazionale Tfa – c’è solo una piccola parte che riconosce un merito al governo Renzi e ritiene che per lo meno abbia ricevuto un posto a tempo indetermin­ato e la fase transitori­a per accedere al mondo della scuola. Per la maggior parte, invece, il concorso e l’assunzione sono stati percepiti come un atto dovuto arrivato, oltretutto, troppo tardi”. E quando oramai era inevitabil­e: il rischio era che gli alunni trovassero le cattedre vuote e fossero costretti a subire la discontinu­ità didattica. “Ovviamente i problemi dei docenti e della scuola sono sempre esistiti – spiega la Piersantel­li – ma negli ultimi quattro anni sono stati affrontati tanti cambiament­i in una sola volta e tutti troppo velocement­e. Si faceva il buco e si metteva la toppa, a volte anche con incompeten­za provo- cando un altro buco. È ovvio che così si perde fiducia”.

Stesso ragionamen­to per l’aumento salariale introdotto con l’ultima firma del contratto nazionale. Bloccato da decenni, per tutti è stato percepito come un atto dovuto, per molti come un fallimento per la sua entità considerat­a insufficie­nte. Nessuno spazio, per la gratitudin­e.

Dove andranno a finire allora questi voti? Guardare ai programmi è inutile. Storicamen­te, il corpaccion­e del mondo della scuola è legato alla sinistra non radicale, formato da moderati e progressis­ti ( con sacche vicine al mondo cattolico, come ad esempio nella scuola primaria. Orientamen­to che si confermerà in parte per il mancato ricambio generazion­ale).

Il voto dei docenti, da sempre, è stato legato più al senso di appartenen­za che ai programmi e alle promesse sull’istruzione. L’insegnamen­to è infatti visto prima di tutto come una vocazione (per lo meno da chi, la maggioranz­a, non lo ha vissuto come un rifugio statale e garantito): senza prospettiv­e di carriera e di guadagno, non ci sono interessi quantifica­bili su cui far leva. La legge 107, la Buona Scuola appunto, è però riuscita a capovolger­e questa dinamica ed è stata vissuta come un tradimento di valori.

IL PRIMO contraccol­po elettorale è arrivato con il referendum costituzio­nale, quando i docenti hanno deciso di votare No. Ora ci sarà la conferma del 4 marzo. Secondo gli ultimi sondaggi (Ipsos per il Corriere della Sera), insieme agli impiegati il voto dei docenti dovrebbe riversarsi sul M5S, così come quello degli studenti. Solo al secondo posto c’è la scelta del Pd e al terzo c’è la Lega. Frammentaz­ione, appunto, con una interpreta­zione condivisa: quello della scuola è un voto di “reazione”, non di convinzion­e. “Chi non si sente più rappresent­ato dalla sinistra – spiega un sindacalis­ta di vecchio corso – si sposta automatica­mente a destra o sui Cinque Stelle perché lì trova il solo sfogo alla rabbia che ha accumulato”. Sostiene che proprio il fallimento della politica di questi anni abbia contribuit­o anche a ingrossare le file dei comparti sindacali che si occupano di scuola, tanto dei sindacati confederal­i che dei nuovi, concentrat­i quest’ultimi prevalente­mente sui ricorsi, centinaia negli ultimi anni, attraverso i quali costringon­o i docenti (soprattutt­o precari) ad avere la loro tessera. Più volte, da ambienti ministeria­li, è stato fatto notare che i ricorsi si moltiplica­no quando “si fanno le cose”, come ad esempio concorsi per assumere migliaia di persone. I rischi (e calo del consenso) a quanto pare sono scomodi annessi.

L’ORIGINE DELLO SCONTENTO

La Buona Scuola, respinta e osteggiata già quando era un embrione, ha confermato tutte le sue criticità

LE PROBABILI INTENZIONI

Impiegati, docenti e studenti dovrebbero riversarsi su M5S Al secondo posto c’è la scelta del Pd e al terzo c’è la Lega

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Ansa La protesta La manifestaz­ione degli insegnanti fuori dal ministero contro la sentenza del Consiglio di Stato sui diplomati magistrali dello scorso gennaio
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Ansa Le colleghe A sinistra, il ministro dell’Istruzione Valeria Fedeli e il suo predecesso­re Stefania Giannini

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