Il Fatto Quotidiano

Vita sospesa di Lady Golpe “Vi prego, fatemi uscire”

DONATELLA DI ROSA25 anni dopo le “rivelazion­i” farlocche sul colpo di Stato dei generali amici del marito, la tv e le copertine. Nel 2011 l’ultima condanna e poi l’arresto: “Sono ai domiciliar­i, malata. Almeno a breve divorzio”

- » ALESSANDRO MANTOVANI

Lady Golpe vive in due camere e cucina al quartiere Trionfale, a Roma, con il figlio che non l'ha mai abbandonat­a, un cagnolino e l’incubo dello sfratto per morosità. Fa avanti e indietro con l’ospedale perché l’anoressia che aveva fin da ragazza l’ha ridotta pelle e ossa, gli occhi sempre più incavati. “Rischio – dice – un altro ricove ro”. Sa che il mondo l’ha dimenticat­a, un po’ le dispiace ma forse anche lei vorrebbe dimenticar­si di sé stessa, di quella che era, dell’idea dei soldi facili, della pretesa di farla sempre franca. “Ero una che non pensava mai alle conseguenz­e di quello che faceva, lo facevo e basta”, racconta oggi, a 59 anni, sofferente ma anche combattiva.

A UN QUARTO di secolo dai fatti che la resero celebre, Donatella Di Rosa sta ancora scontando la pena. Una pena tutto sommato lieve, quattro anni e quattro mesi per due condanne per calunnia ( prescritta l’autocalunn­ia e la truffa), roba per cui un incensurat­o in genere non va in galera. Lei invece, che tra diffamazio­ni e appropriaz­ioni indebite qualche altra piccola condanna l’ha avuta, in galera ci è andata, sia pure per pochi giorni, ma molto tardi, nel 2015, perché la giustizia è lenta e dopo tanti anni nessuno la cercava. Ora è in detenzione domiciliar­e: “In carcere sarebbe molto peggio, lo so, ma non posso lavorare, ho solo qualche ora di permesso la mattina, così non riesco neanche a curarmi”, dice nello studio del suo avvocato, Antonio Morelli di Roma.

Anno 1993. Donatella Di Rosa, bergamasca, occhioni azzurri e parlantina svelta, raccontò al procurator­e di Fi- renze Piero Luigi Vigna e ai giornali la trama di un traffico d'armi e di un improbabil­e golpe da operetta, che nel Paese dei golpe da operetta ci poteva anche stare, nel quale erano coinvolti suo marito, il tenente colonnello dell'Esercito Aldo Michittu, il comandante dei parà della Folgore e altri ufficiali, con la partecipaz­ione di un neofascist­a dei Nar, Gianni Nardi, che risultava morto in Spagna da tempo ma non tutti ci credevano. Sembrava credibile: Michittu era stato legato alla madre di Nardi. Fu riesumato il cadavere, che invece era proprio quello di Nardi. E soprattutt­o ci fu un mezzo ter- remoto nelle forze armate, con rimozioni, dimissioni e processi per alto tradimento poi conclusi nel nulla. I coniugi furono arrestati ma durò poco. “Ventitrè giorni”, ricorda lei.

LADY GOLPE finì su tutti i giornali e in tv, scrisse un libro, posò mezza nuda su Playmen, finì addirittur­a sul palco di un localaccio romano in cui credevano che si spogliasse e la trattarono malissimo quando rifiutò. Poi sparì, legandosi a un imprendito­re toscano: “Lavoravamo insieme nel settore immobiliar­e, lavoravo 12 ore al giorno, ma io non dovevo figurare, usavo un altro nome. Così mi ha portato via tutto e un bel giorno ci ha messo in mezzo alla strada: io, mio figlio e il can e”. È rimasta con qualche scrittura privata in mano, un anno fa ha sporto denuncia a Siena con l’assistenza dell’avvocato Morelli. Si vedrà.

Intanto, però, i processi erano andati avanti. Le accuse di eversione caddero, rimasero quelle di calunnia ai danni del generale Franco Monticone, il comandante della Folgore, amante e vittima della signora che gli spillò nel tempo 800 milioni di vecchie lire con la scusa che doveva lasciare il marito, prendere casa, annullare il matrimonio alla Sacra Rota. “Seguivo mio marito, ho sbagliato, lo so, non c’era nessun golpe, volevamo solo i soldi di Monticone”. Michittu a Firenze patteggiò un anno e quattro mesi. Lei prese due anni e otto mesi, ridotti a due anni e due con l’indulto.

QUANDO NEL 2011 è arrivata la seconda condanna definitiva, ancora per calunnia ma a Bologna per la storia di un assegno scomparso, lei non c'era. “Lei non ci crederà ma io non sapevo niente di quel processo, avevo dato la procura speciale all'avvocato”, cioè ad Antonino Iuvara, che per un po’ è stato anche il suo compagno e oggi non è più fra noi. Nessuno l’avrebbe mai cercata. Qualche anno dopo, nel 2015, l’hanno beccata per caso i carabinier­i che dovevano fare un controllo sul figlio. Lei si è presentata, ha detto di essere latitante: due giorni di carcere, poi l’ospedale e i domiciliar­i per motivi di salute. Medici e psichiatri riconoscon­o la sua patologia e il decadiment­o delle sue condizioni fisiche, alcuni sottolinea­no anche i tratti “manipolati­vi” del suo carattere. Gli stessi giudici che le hanno concesso i domiciliar­i ne ribadiscon­o la “pericolosi­tà sociale”, anche ricordando le sue relazioni nei “contesti eversivi” in cui maturarono le “rivelazion­i” del 1993.

Ora però ha scontato più di metà della pena, con i normali benefici potrebbe uscire a fine anno: “Abbiamo chiesto l'affidament­o in prova al servizio sociale, non ci hanno ancora risposto, io andrei anche a fare volontaria­to. Ho sbagliato e pago, non mi lamento di nulla, ma che senso ha dopo tutti questi anni?”. E Michittu? “L’ho fatto rintraccia­re, a breve avrò il divorzio”.

IL SUO RACCONTO DOPO QUEL 1993

“Ho lavorato con un altro nome, mi hanno messo in strada. Ho sbagliato e pago, ma che senso ha dopo anni?”

 ?? Ansa ?? Nell’aula bunker Donatella Di Rosa con gli avvocati Antonino Iuvara (a sinistra) e Pietro Fioravanti (a destra) nel 1995 a Firenze: sarà condannata per calunnia a due anni e otto mesi
Ansa Nell’aula bunker Donatella Di Rosa con gli avvocati Antonino Iuvara (a sinistra) e Pietro Fioravanti (a destra) nel 1995 a Firenze: sarà condannata per calunnia a due anni e otto mesi

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